Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Caporalato a NordEst, dove esiste una nuova questione meridionale




Possiamo raccontarci tante belle storielle, presentare una realtà diversa, fatta da tanti più, segni positivi, numeri e dati che illustrano un mondo di favole, di principi azzurri o principesse, di cenerentola o cavalieri, ma la realtà ci racconta che nel NordEst vi è un problema enorme. Un problema che si è allargato a dismisura dopo la crisi del 2007, con le principali mafie che hanno iniziato a consolidarsi, in silenzio, un silenzio rotto ogni tanto da qualche urlo mediatico, eco di stampa, importanti inchieste, per poi il tutto ricadere nella normalità. Il silenzio è sempre stato il vero tesoro delle mafie. Le mafie di oggi non sparano più, o meglio sparano molto di meno, si sono modernizzate, sono sempre un passo avanti rispetto a chi li contrasta, perchè lo Stato non ha mai voluto realmente contrastarle, nonostante il sacrificio di tanti. Ma il NordEst, il vecchio caro e ricco NordEst non è più solo terra di mafia, ma anche di caporalato. Insomma, tra disoccupazione, crisi economica, mafie e caporalato la questione meridionale è arrivata qui, esiste una nuova questione meridionale nel NordEst. 

La Guardia di Finanza di Pordenone, nel  suo comunicato stampa del 10 gennaio rende noto che "ha concluso le indagini di Polizia Giudiziaria delegate dalla Procura della Repubblica alla sede che hanno permesso di rilevare una fenomenologia criminale per volumi, dimensioni geografiche e soggetti coinvolti di assoluto spessore e pericolosità sociale."
Parole pesantissime.  

Base a Pordenone

"Trattasi, in particolare, di condotte collegate a fattispecie di intermediazione illecita di manodopera (cosiddetto “caporalato”) nel settore manifatturiero/industriale, di emissione di fatture per operazioni inesistenti e di riciclaggio per la quale è stata, anche, rilevata l’esistenza di una associazione per delinquere la cui principale figura con funzione di promotore, coordinatore ed esecutore era un soggetto residente nella Provincia di Pordenone, attivo in ambito pluriennale in tali attività criminose nonché già destinatario di plurime condanne e denunce per reati economico/finanziari."

Le modalità del caporalato

"Nel corso dell’attività operativa si è riscontrato che la descritta fenomenologia illecita si basava nel ricorso a dissimulati rapporti di appalto/subappalto con società aventi minimo capitale sociale, esistenti più su un piano formale che sostanziale e intestate a “prestanomi”, sulle quali venivano fatti convergere gli obblighi fiscali e contributivi della manodopera impiegata che appariva quindi, sul piano “formale”, assunta e dipendente da tali imprese anziché da quelle realmente fruitrici. I rapporti commerciali tra committenti e società appaltatrici erano, pertanto, concepiti al solo scopo di “interporsi” tra il personale e le aziende presso le quali lo stesso prestava effettivo lavoro, tanto che le fatture emesse, palesando detta artefatta realtà, giustificavano il costo per il mero impiego della manodopera facendola ricondurre a fittizie prestazioni di servizio.
In buona sostanza nel descritto illecito si ricorreva a soggetti giuridici "di comodo" usati come meri “contenitori” della forza lavoro che veniva strumentalmente allocata - in contesti evasivi - mediante la dissimulazione di contratti attestanti appalti per inesistenti “prestazioni di servizio” in luogo alla reale “fornitura di manodopera”.
In tale ambito:
  • i lavoratori, per lo più appartenenti a contesti c.d. “deboli”, ovvero immigrazione esterna (Slovenia, Romania, Repubblica Ceca, Slovacca, ecc.) e/o interna (regioni del Meridione d’Italia) risultavano occupati senza provvedere (o ottemperando parzialmente) agli obblighi fiscali, previdenziali, assicurativi e giuslavorativi;
  • le società effettivamente utilizzatrici della manodopera evitavano gli oneri previdenziali e assistenziali connessi alla stipula del contratto di lavoro e potevano indebitamente detrarre l’iva esposta nelle fatture dalla società appaltatrice;
  • le società che fornivano i lavoratori venivano dopo breve periodo messe in liquidazione o lasciate inattive e quindi sostituite con altre dalle medesime caratteristiche cui veniva fatta convergere la prosecuzione delle attività criminose. "
Le società coinvolte 

Le indagini condotte dalla Guardia di Finanza di Spilimbergo hanno consentito di individuare 13 società attive nella fornitura di manodopera tutte aventi strumentalmente la sede legale nella provincia di Sassari malgrado che nessuno delle centinaia di lavoratori impiegati o delle decine di aziende utilizzatrici degli stessi manifestasse una concreta presenza o interessi economici in Sardegna.

I luoghi di impiego dei lavoratori

Per contro i lavoratori venivano occupati in 37 aziende, con sede nelle provincie di Venezia, Brescia, Padova, Treviso, Vicenza, Bergamo, Modena, Pavia e Milano (i cui rappresentanti legali sono ora indagati). Per tali attività illecite risultano indagate dalla Procura della Repubblica di Pordenone complessivamente 59 persone dei quali 4 per associazione a delinquere, 48 per reati tributari e 7 per reati di riciclaggio, questi ultimi in relazione ad attività distrattive, per circa 700.000 euro, effettuate sui conti correnti societari operate per il tramite di carte prepagate e vaglia postali.
Sono state, inoltre, complessivamente individuate 1.057 posizioni lavorative collegate a siffatti impieghi illegali di manodopera per le quali sono state rilevate plurime violazioni alle normative fiscali, previdenziali, assicurative e giuslavorative nonché l’emissione di fatture per operazioni inesistenti per circa 21 milioni di euro a queste correlate.

Beni sequestrati
Il Giudice delle Indagini Preliminari di Pordenone su richiesta della Procura della Repubblica ha disposto un sequestro per equivalente per l’importo di 3.978.000 euro nei confronti del soggetto promotore delle illecite attività, la cui esecuzione ha consentito di sequestrare due immobili di pregio, disponibilità finanziarie e due autovetture (una Porsche 911 versione 993 e una BMW 650i). Nel corso di una perquisizione domiciliare effettuate nel pordenonese nei confronti del medesimo soggetto sono stati infine sequestrati 55.000 euro in contanti (in gran parte in banconote da 500 e 200 euro) da questi occultate sotto il ripiano di una scrivania."

Che altro si deve aspettare per capire che qui esiste un problema enorme?

Marco Barone 

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