Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Giorno del ricordo e scuola: 3 parole per l'incendio del Narodni dom di Trieste e la solita storia di noialtri

 Con il  Concorso  nazionale “10 febbraio”, che esiste dal 2013,  in Italia  si avrebbe lo scopo di promuovere, in base a quello che si legge nel sito istituzionale di riferimento, " l’educazione europea e la cittadinanza attiva e a sollecitare l’approfondimento della storia italiana attraverso una migliore conoscenza dei rapporti storici, geografici e culturali nell’area dell’Adriatico orientale. Il concorso è rivolto a tutte le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, statali e paritarie, della Repubblica italiana e degli Stati dove è previsto e attuato l’insegnamento in lingua italiana ed è articolato in due sezioni:
  • Scuola primaria e scuola secondaria di primo grado;
  • Scuola secondaria di secondo grado.
E si precisa che la premiazione prevede la partecipazione delle classi vincitrici alle iniziative istituzionali organizzate per la celebrazione del Giorno del ricordo.

Un concorso che prevede tematiche differenti ma che hanno come cuore centrale la questione del Confine Orientale, sconosciuta oltre i confini di Cervignano come si dice in Friuli Venezia Giulia, e forse meglio così visto il modo con il quale si imposta l'insegnamento della storia su questi fatti.
La tematica per il 2018  riguarda la fine della grande guerra ed il Confine Orientale. Anche se a dire il vero emergono diversi passaggi sull'ante ed inizio prima guerra mondiale e mai una riga o parola è stata formulata sulle responsabilità italiane in quel cataclisma.
Il piatto è servito con il solito contorno, di oppressione e sapori di rivendicazioni.
Si legge:

"Quell’ampio e composito territorio che va dalla catena delle Alpi Giulie alle Bocche di Cattaro si trova così al centro di ampi rivolgimenti. Teatro di guerra, lungo il corso dell’Isonzo e sul Carso, dal 1915 al 1917, tra gli eserciti italiano e austro-ungarico, diventa nell’ultimo anno di conflitto pure teatro di scontro politico. Dopo la presa italiana di Gorizia (9 agosto 1916) e ancor di più dopo la battaglia di Caporetto e l’arretramento del fronte italiano (24 ottobre-12 novembre 1917), le autorità austriache mettono in atto un ultimo tentativo di germanizzazione della regione, inasprendo il carattere propriamente tedesco dell’amministrazione pubblica saldamente in mano ai funzionari delle Luogotenenze e dei Governatorati."

Come si può  vedere sparisce il concetto della disfatta di Caporetto. Si parla di banale arretramento. Quando in realtà l'Italia con quella batosta militare che ha subito perse anche territori annessi prima dello scoppio della prima guerra mondiale. Ma di cosa stupirsi se in questo centenario si è fatta passare la disfatta come elemento essenziale della vittoria? Negando, dunque, il carattere della sconfitta militare e politica di quell'evento storico del 1917?

Interessante il punto successivo:

"Si inasprisce pure il rapporto tra italiani e slavi della regione con conseguenze non ancora prevedibili, dopo che già nell’anteguerra la politica asburgica aveva favorito la componente slava, fino a giungere alla snazionalizzazione della Dalmazia e alla chiusura di molteplici scuole con lingua d’insegnamento italiana da parte di amministrazioni comunali austriacanti insediatesi grazie alle riforme elettorali imposte da Vienna. Bisogna inoltre considerare che la regione era fortemente depressa dal punto di vista economico e sociale per la mobilitazione di massa degli uomini e delle classi abili più giovani, mandati a combattere sui fronti orientale, balcanico e dell’Isonzo. Ciò aveva tolto manodopera alle attività agricole e produttive, inoltre l’Istria meridionale era stata sfollata della popolazione civile, per timore di azioni militari italiane nell’area che avrebbero potuto trovare sostegno tra coloro che si sentivano di sentimenti italiani. Nei maggiori centri urbani le autorità austriache avevano internato interi nuclei familiari per sospetto irredentismo."

Questa è una lettura storiografica ben sostenuta nell'area dell'irredentismo italiano. Ed è interessante notare come si pongono già le basi, per quel filo rosso di continuità, che ci sarà dalla fine dell'Impero Austroungarico sino alla fine della seconda guerra mondiale, con il Trattato di pace. Quell'essere perseguitati perchè di sentimenti italiani. 

Peccato che non si ricorda che in realtà l'Impero Austroungarico poi verrà colpito alle spalle proprio dall'Italia, e forse ci avevano visto giusto,  cosa che comporterà milioni di morti e di feriti, su entrambi i fronti, una roba da niente, così come peccato che le peggiori repressioni l'Impero, ancora oggi rimpianto da qualcuno,  sono state attuate proprio contro gli slavi.
Come è noto l'Impero ha scatenato, pur non volendolo, la grande guerra per vendicarsi dell'attentato di Sarajevo e punì un popolo intero, la Serbia per questo.

L'impero austro-ungarico ha cercato di realizzare una mera pulizia etnica. Basta pensare al modo in cui si comportarono, le truppe imperiali, subito dopo il duplice omicidio. Solo 48 dopo ore l'assassinio in Bosnia furono arrestati 200 serbi, diversi contadini impiccati subito, alla fine di luglio, 5000 saranno i serbi dietro le sbarre e 150 furono impiccati appena iniziarono le ostilità. I conti, alla fine della prima guerra mondiale, i numeri, saranno impressionati. Quasi 750 mila serbi, ovvero un serbo su sei ovvero quasi il 22% della popolazione verrà spazzato via, la percentuale più alta tra tutti i Paesi coinvolti dalla prima guerra mondiale.

Poi, nel testo del concorso, si liquidano in quattro battute tutte le vicende reazionarie che porteranno prima che altrove al fascismo, il fascismo in Italia è nato proprio qui nel Confine Orientale.

"Mentre si avviano le trattative internazionali a Versailles, la regione, ora denominata Venezia Giulia, è sottoposta prima a un Governatorato militare, come analogamente insediato in Dalmazia (dove la contrapposizione nazionalista porta all’uccisione di due marinai italiani a Spalato il 12 luglio 1920: seguiranno i disordini di Trieste che porteranno all’incendio del Balkan), poi a un Commissariato civile ed infine annessa al regno d’Italia in forza del trattato italo-jugoslavo sottoscritto a Rapallo il 12 novembre 1920."

Neanche una riga intera per spiegare il Balkan, cosa è stato il Narodni dom e cosa è diventato a livello simbolico, atto di aggressione che si realizzò anche a Pola e qualche anno dopo a Gorizia, nel giorno della vittoria. Quell'incendio è stato il simbolo dell'inizio delle persecuzioni contro gli sloveni nella Venezia Giulia.  Ma spendere due righe per questo era troppo. Meglio liquidarlo nella parentesi tra il generico disordine e l'incendio. Peccato che si trattò di spedizione punitiva nazionalfascista.

Così come è interessante notare quella negazione di fatti storici, se di primo esodo si inizia a parlare verso la Venezia Giulia di italiani, lo stesso concetto non può essere usato per gli slavi, sloveni e croati in primis costretti ad abbandonare la Venezia Giulia a causa delle prime politiche di nazionalizzazione che ebbero luogo, e saranno circa 110 mila gli slavi della Venezia Giulia a dover andare via, ma guai a parlare di esodo.

"Nel frattempo era scoppiata la crisi di Fiume (ove il Consiglio Nazionale Italiano presieduto da Antonio Grossich aveva chiesto l’annessione all’Italia col proclama del 30 ottobre 1918 pur non essendo stata la città quarnerina richiesta dalla stessa col Patto di Londra), con la prima definizione dei confini tra Austria, Italia e Regno dei Serbi-Croati-Sloveni (trattato di St. Germain, 10 settembre 1919) e l’impresa di d’Annunzio a rivendicare la città esclusa da tutte le trattative. Per la Dalmazia, invece, si profila l’annessione allo Stato jugoslavo, salvo Zara , e qui prenderà avvio un primo esodo di italiani verso la Venezia Giulia o altre province italiane. Anche parte della classe intellettuale slava assieme a molti rappresentanti delle classi più popolari lascia le terre assegnate all’Italia, da cui nuovi opposti irredentismi."

Marco Barone 



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