Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Non insegnare lo sloveno significa negare le radici slave del FVG

Numeri. Quantificazione. Dimmi quanto siete e ti dirò quanti diritti puoi avere. Dimmi chi sei e ti dirò che diritto potrai avere. Stiamo letteralmente dando i numeri ultimamente contro gli amici sloveni. Purtroppo qualche giapponese nella giungla in Friuli Venezia Giulia vi è ancora. Pensano di essere ancora ai tempi della guerra fredda o forse del fascismo dove tutto ciò che non era italiano andava annichilito, in particolar modo se era slavo. Concetti che già emergevano ai tempi della Carta del Carnaro dannunziana. La quale in modo fittizio tutelava le minoranze. Nel testo di quella carta emergeva che "nella terra di specie latina, nella terra smossa dal vomere latino, l’altra stirpe sarà foggiata o prima o poi dallo spirito creatore della latinità". E la soccombenza è avvenuta,come ben sappiamo con il fascismo, con i processi di italianizzazione forzata. Qualche nostalgico ancora oggi lotta contro il bilinguismo. I nazionalismi non appartengono più a questa epoca, vi è ancora qualche fiammata, certo, ma durerà poco, è destinata ad essere spenta per sempre.

Lo sloveno in Italia è parlato in 32 comuni del Friuli-Venezia Giulia, nella Val Canale, nella Valle di Resia, nelle valli del Natisone nella ex provincia di Udine, a Gorizia, a Trieste ed in varie località delle due ex province. In FVG vive una minoranza linguistica autoctona che si è insediata dal VI al XIII secolo circa dopo Cristo. Ma è parlato anche in Austria, in Ungheria, Croazia, e non solo ovviamente in Slovenia ed anche lì dove ci sono diversi emigrati sloveni come in Germania od in America e poi questa lingua pone le basi per poter comunicare con quell'Est con il quale continua ad esistere una incomprensibile diffidenza. Nonostante alcuni provvedimenti legislativi, la situazione non è ottimale, si registrano considerevoli ritardi se non omissioni nell'attuazione delle norme di riferimento a tutela dei diritti della minoranza linguistica, anzi molte norme sono proprio disattese. Sono pochissime le opere slovene tradotte in italiano e sono poche le scuole italiane del FVG che insegnano lo sloveno anche come materia integrativa nel piano dell'offerta formativa ivi considerata. Insegnare lo sloveno non significa togliere niente a nessuno, ma solo aggiungere, un più che è rispondente al processo identitario e culturale e storico della nostra regione. Alle radici della nostra regione e nostra cultura che non è solo latina. In caso contrario, ragionando per numeri significherebbe che anche in Slovenia e Croazia andrebbero ridimensionati i diritti della minoranza italiana? Dell'insegnamento dell'italiano? Non è questo il modo logico, razionale con cui procedere. Non abbiamo più bisogno di giapponesi nella giungla, il mondo è cambiato e chi non lo vuol comprendere se ne dovrà far una santa o non santa ragione. Oppure continuerà a vivere nel suo torto esistenziale.

Marco Barone

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