La celebrazione del fascismo della passeggiata di Ronchi di D'Annunzio e l'occupazione di Fiume

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Mio caro compagno, Il dado è tratto. Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto febbricitante. Ma non è possibile differire. Ancora una volta lo spirito domerà la carne miserabile. Riassumete l'articolo !! che pubblicherà la Gazzetta del Popolo e date intera la fine . E sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio Non sarà stato forse un fascista dichiarato, D'Annunzio, certo è che non fu mai antifascista, era lui che aspirava a diventare il duce d'Italia e la prima cosa che fece, all'atto della partenza da Ronchi per andare ad occupare Fiume, fu quella di scrivere a Mussolini, per ottenere il suo sostegno. Perchè D'Annunzio ne aveva bisogno. Il fascismo fu grato a D'Annunzio, per il suo operato,  tanto che si adoperò anche per il restauro e la sistemazione della casa dove nacque D'Annunzio e morì la madre. E alla notizia della morte, avvenuta il 1 marzo del 193

Nel limbo della prescrizione, né innocente, né colpevole

Vi è una via di mezzo, né nera, né bianca, una zona grigia che connota l'ordinamento giuridico di tutti gli Stati considerati "civili", poi vi è chi opera in eccesso, e chi in difetto, questione di stile e di etica e di sostanza. Parlo della prescrizione che può riguardare sia il reato che la pena.  
A tal proposito è interessante riportare una riflessione che è stata pubblicata su una rivista cattolica, famiglia cristiana, lontana dal mio modo di pensare su diverse questioni, ma che è oggettivamente condivisibile sulle lamentele manifestate in tema di prescrizione

Capita sovente, soprattutto ai potenti incappati in un processo, di salutare la sentenza che certifica l’avvenuta prescrizione come se fosse un’assoluzione: non è così, non esattamente.Se il giudice ritiene che al momento dell’intervenuta prescrizione il reato non sia stato accertato è obbligato a pronunciarsi per l’assoluzione. Diversamente, se sussiste un sospetto di colpevolezza o magari anche la prova piena (cosa che solo le motivazioni della sentenza possono chiarire nei dettagli), deve dichiarare l’avvenuta prescrizione.(...) Se è vero che la prescrizione in sé serve anche a evitare l’inerzia della giustizia, è almeno altrettanto vero che in molti casi, concepita com’è, ne vanifica il lavoro e l’efficacia, perché quando si scopre che un reato è stato commesso la possibilità di assicurare alla giustizia il colpevole, completando i tre gradi di giudizio, in un sistema con procedure molto complicate e con moltissimi processi in corso, risulta minata in partenza da termini troppo stretti.

Dunque da un lato può essere percepita come  il fallimento della macchina della giustizia, dall'altro anche l'esercizio di una difesa tecnicamente valida, perchè è innegabile che uno dei primi obiettivi del penalista è quello di cercare di arrivare alla prescrizione del reato. Strumento del diritto consolidato e normato.  Così come è anche vero che a volte la prescrizione viene dalla dottrina giustificata come il venir meno dell'interesse da parte dello Stato a punire un comportamento penalmente rilevante od a tentare il reinserimento sociale del reo, per il decorso del tempo da quando il fatto è accaduto.
Ma è anche vero che chi vuole uscire dal limbo, dalla zona grigia, che caratterizza il mondo della prescrizione, può rinunciarvi espressamente.

costituisce un diritto personalissimo dell'imputato che è a lui personalmente ed esclusivamente riservato e presuppone una dichiarazione di volontà espressa e specifica che non ammette equipollenti" (Cass. Pen. Sez. II n. 23412, 21 giugno 2005; Cass. Pen. Sez. V n. 45023, 22 dicembre 2010; Cass. Pen. Sez. III n. 14331, 15 aprile 2010).

La rinuncia va effettuata dall'imputato dopo che i termini massimi sono maturati … ma prima che si giunga alla sentenza che conclude il giudizio in corso, così che il giudice, ormai esclusa per espressa volontà dell'imputato l'applicazione della prima parte dell'art. 129 c.p.p.,possa pronunciarsi “liberamente” sul merito della contestazione con affermazione di assoluzione o di condanna"e che una volta che il giudice si sia pronunciato sulla contestazione dichiarando l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non può ammettersi che nei successivi gradi di giudizio l'imputato manifesti per la prima volta la propria rinuncia alla prescrizione che, in presenza del principio di divieto di reformatio in pejus, altererebbe la pienezza della valutazione del giudice e la parità tra le parti processuali" (Cass. Pen. Sez. III, 24 settembre 2009, n. 37583).
D'altronde come ha insegnato la giurisprudenza , in linea con quanto scritto in precedenza
In presenza di una causa estintiva del reato,l’obbligo del giudice di pronunciare l’assoluzione dell’imputato per motivi attinenti al merito si riscontri nel solo caso in cui gli elementi rilevatori dell’insussistenza del fatto, ovvero della sua non attribuibilità penale all’imputato, emergano in modo incontrovertibile,tanto che la relativa valutazione,da parte del giudice,sia assimilabile più al compimento di una ‘constatazione’, che a un atto di ‘apprezzamento’ e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento.
Alla canonica risposta, se in caso di prescrizione l'imputato è da ritenersi colpevole od innocente, a parer mio, ma non solo mio, l’imputato, non è certamente colpevole ma neanche eticamente innocente.
Rimarrà sempre il dubbio, pur rimarcando l’esistenza del principio di non colpevolezza come ben affermato nel nostro ordinamento.  
La prescrizione è certamente un diritto, è una forma di garanzia, ma ti lascia sostanzialmente nel limbo del dubbio, un dubbio che può essere risolto, soprattutto quando si rivestono certi ruoli significativi, semplicemente tagliando la testa al toro, affrontando ciò che deve essere affrontato, il processo nel merito e nella sostanza.
Marco Barone 

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