C'era una volta Gorz. Gorizia, la città più tedesca del "nord est italiano"

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    Gorizia è oggi, a causa degli eventi del '900, conosciuta forse come la città più italiana, delle italiane, anche se la sua peculiarità discende dal passato asburgico, quello che affascina, quello che interessa i turisti, insieme alla questione dell'ultimo "muro" caduto che divideva Gorizia da Nova Gorica. A partire dal 1500 Gorizia conobbe la sua svolta, una città dove convivevano, senza ghettizzarsi, idiomi diversi, dove la cultura germanofona era rilevante, con l'ultimo censimento dell'Impero che arrivava a contare poco più di 3000 cittadini di lingua tedesca. Tedesco, sloveno, friulano, italiano. Il nome Gorizia, è un nome slavo, una città dallo spirito tedesco, di cui oggi si è praticamente perso pressoché ogni traccia. Salvo iniziative di qualche realtà associativa privata, che mantengono con impegno e passione viva la lingua tedesca a Gorizia e contributi da parte di alcuni storici e studiosi, in città si è assistito ad un vero e proprio annichilime

Ma abbiamo realmente paura della guerra?

Guerra. Il mondo ha sempre conosciuto guerre, da quando esiste l'uomo sono sempre esiste le guerre. Ad esempio il mitizzato Impero Romano era fondato sulla guerra. L'Italia si è unita con le guerre, ha conquistato territorio con la guerra, ha aggredito con la guerra, sia nel primo che nel secondo conflitto mondiale, ed ha continuato nel tempo a sostenere azioni "umanitarie" che in realtà erano vere e proprie operazioni militari di guerra. La guerra è una costante della nostra società, non ne possiamo fare a meno, o meglio negli ultimi secoli è il capitalismo che non può farne a meno, fino a quando esisterà il capitalismo ci saranno guerre, e fino a quando ci sarà il capitalismo non ci sarà nessuna effettiva e piena democrazia. Siamo circondati da guerre, e chi fugge dalla guerra lo respingiamo o trattiamo come il peggior delinquente. Ma per aver paura di qualcosa, questo qualcosa lo si deve realmente conoscere. E noi la guerra non la conosciamo. Ne abbiamo perso memoria sensoriale. Certo, viene raccontata nei libri di storia, se ne discute, ma non la tocchi, non la senti, non la percepisci. Ne annusiamo forse l'odore, la puzza, la forza di distruzione, ma non la conosciamo. Abbiamo realmente timore della guerra? Temo di no. Ed è forse anche per questo motivo che stiamo precipitando in un conflitto esteso e potenzialmente devastante per tutti noi. Giochiamo alla guerra, senza sapere che quel gioco non è un gioco, ma la fine di ogni condizione di essere umano. Innanzi a te non avrai più uomini o donne, ma obiettivi militari, che diventeranno cose da annientare, distruggere. Non più uomini o donne, ma cose, oggetti privi di ogni valore.
La viviamo come una cosa naturale, ovvia, scontata. Gli eserciti continuano ad armarsi, a mobilitarsi. Siamo impotenti, siamo solo spettatori. Gli eserciti sono mitizzati, dalla letteratura, al cinema alla televisione. E forse alla fine dei conti questa guerra la vuole più di qualcuno, per ricominciare semplicemente da zero e definire un nuovo ordine all'interno di un caos predeterminato. D'altronde l'etimologia della parola guerra pare ricollegarsi all'antico tedesco werra, cioè  groviglio, scontro disordinato. Una macelleria umana ma in questa epoca forse siamo diventati tutti macellai senza saperlo. Tanti forse, ma un solo dubbio.

Marco Barone

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