C'era una volta Gorz. Gorizia, la città più tedesca del "nord est italiano"

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    Gorizia è oggi, a causa degli eventi del '900, conosciuta forse come la città più italiana, delle italiane, anche se la sua peculiarità discende dal passato asburgico, quello che affascina, quello che interessa i turisti, insieme alla questione dell'ultimo "muro" caduto che divideva Gorizia da Nova Gorica. A partire dal 1500 Gorizia conobbe la sua svolta, una città dove convivevano, senza ghettizzarsi, idiomi diversi, dove la cultura germanofona era rilevante, con l'ultimo censimento dell'Impero che arrivava a contare poco più di 3000 cittadini di lingua tedesca. Tedesco, sloveno, friulano, italiano. Il nome Gorizia, è un nome slavo, una città dallo spirito tedesco, di cui oggi si è praticamente perso pressoché ogni traccia. Salvo iniziative di qualche realtà associativa privata, che mantengono con impegno e passione viva la lingua tedesca a Gorizia e contributi da parte di alcuni storici e studiosi, in città si è assistito ad un vero e proprio annichilime

Se nei Balcani soffia ancora una gelida aria di guerra





Il binomio, Serbia e guerra, è drammatico, e ciò emerge bene nell'immenso museo della guerra presente a Belgrado che evidenzia tutte le guerre che ha dovuto affrontare e subire questo Paese. Belgrado durante i 7000 anni della sua storia, ha conosciuto 115 guerre, e la città venne distrutta ben 44 volte. Ancora oggi uno dei segni più visibili sono gli effetti delle bombe della NATO, ben visibili nel centro di Belgrado. La Serbia ultimamente pare voler stare con un piede in due scarpe, si arma con mezzi "rottamati" dalla Russia, ma dialoga con l'Europa, perchè una parte dei serbi vorrebbero entrare in Europa. Come  è stato ricordato più volte i Balcani hanno ritrovato l'unità, in questo periodo, attraverso i reticolati, i muri anti-migranti. Ma quel recintarsi, verso una rotta disastrata, potrebbe anche significare altro. Il tutelare, anche in modo goffo e ridicolo, il proprio nazionalismo. Nel momento in cui si accelera il processo di pace tra Israele e Palestina, nonostante continui tentativi di destabilizzazione, rischia di esplodere una gelida guerra nei Balcani, e pare di capire che ogni scusante e provocazione sia buona per tal miserabile fine. La causa è sempre quella che abbiamo tremendamente conosciuto dalla dissoluzione della Jugoslavia. E la responsabilità dell'Europa è enorme. L'Europa dovrebbe intervenire, subito, ma chi sarebbe e cosa sarebbe l'Europa? Una guerra nell'area balcanica sarebbe la giusta mina che potrebbe far saltare in aria l'Europa. I segnali di tensione sono sempre vari, tra Croazia e Serbia, tra Slovenia e Croazia, tra Kosovo e Serbia. Ad aprile 2016 il Kosovo, per la prima volta vietava l'ingresso nel suo Paese a due ministri serbi, quello alla difesa ed all'interno. Precedentemente tali restrizioni riguardavano un leader politico serbo, ed il capo di Stato Maggiore. Ciò come atto di protesta per il presunto occultamento di documentazione per la ricerca di crimini di guerra. Qualche mese dopo la Serbia propone un treno ultra-nazionalista con lo slogan «il Kosovo è serbo», ripetuto in 21 lingue, incluso l’albanese. Treno fermato all'ultimo momento, ma il danno è stato volutamente compiuto. Sono provocazioni studiate e predeterminate, altrimenti a cosa servirebbe il riarmo? Quando si pensa ai treni, viene sempre in mente la tragedia che ha colpito il  treno 393, in quel maledetto 12 aprile del 1999, che viaggiava in direzione di Skopje. Colpito dai missili della NATO  sul ponte e Bistrička nella zona nota come gola di Grdelica. Una gola che divorerà non si sa ancora oggi quante vittime. I treni son nati per unire, ma l'uomo, con la sua mente diabolica, li sta trasformando in mezzi per dividere. Basta un treno ultra-nazionalista per scatenare un conflitto? Sì. E ciò accade perchè l'Europa è nella sua massima debolezza storica. Lasciare che queste provocazioni possano continuare rimanendo solo da spettatori esterni, significherà non aver voluto fermare ciò che pare essere inevitabile. L'inferno sta arrivando.

Marco Barone 

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