In Friuli Venezia Giulia sono state abrogate le province e nascono 18 UTI, unioni territoriali intercomunali. Battezzate come mini 18 province, ma in realtà non è proprio così. Perché non si tratta di organi eletti dal popolo, ma prevalentemente caratterizzati da elezione interna e nomina interna.
Contestate per diversi punti, e su diverse questioni, alcuni Comuni non hanno aderito, sono funzionali alla fusione dei Comuni, compromettono l'autonomia piena dei piccoli Comuni, i consigli comunali svolgeranno ruoli marginali, le opposizioni conteranno meno di un fico secco, ed i Sindaci, specialmente dei Comuni capofila, avranno un gran potere. Più che mini province potrebbero essere chiamate 18 mini contee. In FVG è stato anticipato quanto probabilmente accadrà nel resto d'Italia, ma nel resto d'Italia si ignora quanto accaduto in FVG, esiste un
sito internet dove al momento il plurilinguismo non c'è, i lavori sono ancora in itinere, nonostante dovrebbero essere già attive seppur con funzioni limitate. Il punto della questione è chi ci ha capito niente?
Legge complicata, non illustrata a dovere alla gente comune, che non ha capito niente o nella peggiore delle ipotesi pensano che siano solo beghe per poltrone o tra politici. Quanti sono a conoscenza del fatto che i Comuni che non aderiscono subiranno dei tagli, a livello di finanziamenti, pesantissimi? Quanti hanno capito che la maggior parte dei Comuni si trasformeranno praticamente in sportelli per il cittadino? Certo, molti diranno si risparmia, ma non è che nel nome del risparmio si deve favorire il decisionismo. La democrazia ha un costo e questo principio deve essere accettato. Personalmente sono favorevole all'abrogazione delle province, ma non a questa mostruosità normativa. E soprattutto è grave che il tutto sia avvenuto in modo incomprensibile per il cittadino medio il quale capirà il tutto solo quando vivrà sulla propria pelle i problemi che deriveranno da un sistema contorto, complesso, e contestatissimo e deciso in modo poco partecipato. Insomma il FVG ha dato un pessimo esempio in materia di specialità, quella specialità che la riforma costituzionale pone a rischio nel nome di uno Stato centralista solo per soddisfare interessi particolari e specifici che non sempre coincidono con quelli della collettività e per la tutela del bene comune.
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