Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Trieste è la città del no se pol per Claudio e Davide


Ed ora è il turno di Trieste. Facendo una ricerca su internet, sono decine i Comuni italiani che hanno esercitato una becera forma di ostruzionismo nei confronti delle coppie omosessuali che vogliono unirsi legalmente. Da chi ostacola con i giorni, da chi non concede la sala matrimoni del Comune, a chi esercita una forma incredibile ed inaccettabile di obiezione verso la Legge dello Stato. E come sempre ci si appiglia, per ribattere, all'articolo 20 della LEGGE 20 maggio 2016, n. 76 quando afferma che "Al solo fine di assicurare l'effettivita' della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché' negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso."

Da un lato è vero che questa Legge non equipara totalmente le unioni civili ai matrimoni, enormi differenze sussistono già nella definizione di unione civile, perché si è cercato il compromesso all'italiana, in un Paese che fino al 2016 ha ignorato volutamente parte dei suoi cittadini per ragioni discriminatorie, è anche vero che delle discriminazioni dirette ed indirette ancora sussistono.

La giurisprudenza è intervenuta diverse volte in materia ritenendo che le persone dello stesso sesso che vivono insieme ed hanno una relazione stabile hanno il pieno diritto al rispetto della loro vita privata e familiare ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione europea; pertanto, nell’esercizio del diritto di vivere liberamente il loro status inviolabile di coppia, essi possono adire un tribunale per rivendicare, in specifiche situazioni connesse ai loro diritti fondamentali, lo stesso trattamento che la legge offre alle coppie coniugate.

Ma si è anche affermato che due persone dello stesso sesso hanno comunque il «diritto fondamentale» di ottenere il riconoscimento giuridico, con i connessi diritti e doveri, della loro stabile unione. In ambito europeo, esso è consacrato nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, il cui art. 14 afferma: “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione”. Principio che “è profondamente radicato nella giurisprudenza della Corte”. Sul caso di Davide e Claudio, due amici e persone molto stimate a Trieste, si sono accesi i fari dei media e della politica.

Hanno deciso di unirsi, di sposarsi il 3 settembre, e davano per scontato l'utilizzo della sala matrimoni del Comune di Trieste. Invece no. No se pol. Quella sala è riservata ai matrimoni, non alle unioni "incivili, come  magari le vorrebbe chiamare qualcuno. E poi le solite accuse di strumentalizzazione, il solito fiume di retorica, la solita melma. La forma a volte è anche sostanza, negare la formalizzazione piena dell'atto di unione e di amore, secondo le leggi dello Stato, significa negare le basi della civiltà democratica, che fatica ad affermarsi alla stessa velocità del progresso tecnologico nella nostra società. Ma qualcuno forse pensa che siamo ancora ai tempi della grande guerra,vuole forse trincerarsi, vuole forse tentare una guerra di logoramento in materia di diritti civili. Trieste merita di più, e le persone meritano rispetto. Trieste città medaglia d'oro al valore militare, per il suo contributo dato nella resistenza. Città "Esempio d'inestinguibile fede patriottica, di costanza contro ogni avversità e d'eroismo." Città "Protesa da secoli a additare nel nome d'Italia le vie dell'unione tra popoli di stirpe diversa, fieramente partecipava coi figli migliori alla lotta per l'indipendenza e per l'unità della Patria".

Negare la sala matrimoni, non concederla, per capricci o dispetti o rigidità mentali, significa non avere rispetto di quella unione tra popoli diversi, culture diverse, che porterà all'unità della Patria. Ed il rispetto della Patria passa attraverso il rispetto dei propri cittadini, dei diritti umani, il rispetto del diritto all'amore, della felicità. Quello che alcuni vorrebbero negare con la scusante della burocrazia, alzando le ultime barricate. Ma le barricate, i muri, non dureranno, non potranno durare in un mondo di 7 miliardi di persone e di questo, piaccia o non piaccia, se ne dovranno pur fare una ragione. 


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