Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Quella targa faziosa al Parco della Rimembranza di Trieste sul 12 giugno 1945

“Il 12 giugno in seguito agli accordi di Belgrado le truppe jugoslave si ritirarono da Trieste dopo 40 giorni di occupazione”. Poi uno spazio, voluto, di sospensione e continua “ Il popolo triestino iniziava una lunga e difficile fase di attesa riconquistando con il suo schietto impegno libertà e democrazia. Trieste 12 giugno 2015”. Questo è quanto è stato inciso sul cippo, costato più di 8 mila euro, collocato al parco della Rimembranza di Trieste. Una corsa contro il tempo, per non perdere l'appuntamento per il 70esimo del 12 giugno del 1945. Incisione che ha creato diversi malumori soprattutto a coloro che sostenevano la revisionistica teoria quale il 12 giugno come la data della liberazione di Trieste se non addirittura della fine della seconda guerra mondiale per la città. Alla fine vi è stato un compromesso, un compromesso che se da un lato parla semplicemente della fine dell'occupazione dopo 40 giorni, anche se in realtà i giorni di permanenza e di amministrazione provvisoria dei partigiani Jugoslavi furono 42, dall'altro con un vuoto stilistico creato ad hoc, l'attesa, la sospensione, si omette il dopo. Un dopo che ha visto in quel 12 giugno il passaggio di poteri alle altre forze alleate, quelle anglo-americane che durerà sino al 26 ottobre 1954. Ma, probabilmente, non potevano e non volevano scrivere che all'occupazione Jugoslava è seguita poi l'occupazione anglo-americana, perché se occupazione è stata la prima, occupazione è stata la seconda, se amministrazione provvisoria è stata la prima amministrazione provvisoria è stata la seconda, omettendo, contestualmente, tutte le giornate di violenza che sono accadute a Trieste, ad esempio, a partire dal 12 giugno del 1945. Ma questo non lo si deve dire. Insomma, per alcuni aspetti poteva andare certamente peggio, avrebbero potuto scrivere cialtronerie storiche di un certo rilievo che sono venute meno, e questo è merito di chi ha contrasto il revisionismo storico, il nazionalismo, male dei mali, tutto nostrano. E la cosa interessante è che non si scrive quando la conquista della democrazia e della libertà a Trieste sarebbe avvenuta. Insomma, un cippo oneroso per le casse pubbliche, che avrebbe voluto colmare un vuoto, per parte della politica destra e nazionalista ed anticomunista ed antijugoslava triestina, ma che in verità, ben rappresenta il vuoto, che i fautori e cultori del revisionismo storico, vorrebbero come essenza della società del futuro. Senza memoria non vi è futuro, si dice e si scrive, ma con una memoria distorta, vuota e faziosa, si rischia un futuro ancora peggiore rispetto a quello condizionato dalla semplice ignoranza.

Marco Barone

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