Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Ad un passo dalla vittoria. Riflessione dopo lo sciopero del 5 maggio

Quella del cinque maggio è stata un giornata epocale?  Sì. Adesione impressionante, vicina e forse anche superiore all'80% scuole chiuse e centinaia di migliaia di lavoratori, lavoratrici, studenti e genitori in piazza. Il MIUR a ciò ha risposto con una slide visibile ancora oggi sul sito, ove si legge 3 miliardi di investimenti nella scuola. Faraone, sottosegretario all'Istruzione, ha dichiarato in TV che in sostanza ci possiamo scordare il ritiro del ddl. Renzi, che si andrà avanti, apertura per alcune modifiche, ma si andrà avanti. Come ho ricordato in un precedente scritto, vi è una nota massima, propria del sistema decisionista,  " l'autorità, non la verità fa la legge". Ebbene, dobbiamo avere la forza di ribaltare il decisionismo, la piazza del cinque maggio è stata la verità e la verità vuole il ritiro di quella riforma senza modifiche, punto. Perché se questo sciopero non avrà effetto, nonostante la sua imponente e rara consistenza, qui saltano tutte le regole minimali di una democrazia reale e partecipata. Certo, sono consapevole di quello che accade in Italia, lo vedo ogni giorno, ma qui siamo al punto drammatico e disastroso di non ritorno, capiamolo. La stragrande maggioranza del mondo della scuola, altro che tre fischi, ha dichiarato espressamente che quella riforma deve essere cestinata, garantendo, nello stesso tempo, l'assunzione dei precari, cosa possibile senza stravolgere l'assetto esistente della scuola. Le dichiarazioni e gli intenti come emersi, da parte del sistema decisionista, inducono a pensare che in Italia la democrazia rischia di essere proprio un optional. Ciò perché se un Governo non tiene conto di quello che dice il popolo della scuola, che questo vuole stravolgere, con uno sciopero epocale, e ti rispondono in questo modo, quando la richiesta è chiara, ovvero ritiro di quel benedetto o maledetto ddl, di cosa stiamo ancora discutendo qui? Quali modifiche? Quali aperture? Certamente ci troviamo in una situazione storica e sociale molto particolare, la scuola è la base della democrazia, della civiltà, del futuro di questo Paese. Ascoltarla va bene, ma non basta. Si devono recepire anche le istanze che pervengono da questo mondo, e le istanze sono state inequivocabilmente chiare e determinate. Siamo ad un passo dalla vittoria. Una vittoria storica, importante, se il ddl non verrà ritirato, significa che le vecchie regole, proprie della democrazia reale e partecipata, sono state rottamate e ciò lascia una platea enorme di soggettività attive della nostra comunità senza più alcun potere di rappresentanza, di tutela. Qui non è più in ballo solo il ritiro di una riforma disastrosa, qui è in ballo anche la democrazia.

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