C'era una volta Gorz. Gorizia, la città più tedesca del "nord est italiano"

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    Gorizia è oggi, a causa degli eventi del '900, conosciuta forse come la città più italiana, delle italiane, anche se la sua peculiarità discende dal passato asburgico, quello che affascina, quello che interessa i turisti, insieme alla questione dell'ultimo "muro" caduto che divideva Gorizia da Nova Gorica. A partire dal 1500 Gorizia conobbe la sua svolta, una città dove convivevano, senza ghettizzarsi, idiomi diversi, dove la cultura germanofona era rilevante, con l'ultimo censimento dell'Impero che arrivava a contare poco più di 3000 cittadini di lingua tedesca. Tedesco, sloveno, friulano, italiano. Il nome Gorizia, è un nome slavo, una città dallo spirito tedesco, di cui oggi si è praticamente perso pressoché ogni traccia. Salvo iniziative di qualche realtà associativa privata, che mantengono con impegno e passione viva la lingua tedesca a Gorizia e contributi da parte di alcuni storici e studiosi, in città si è assistito ad un vero e proprio annichilime

Il vincitore del "duello" tra via Sant'Ambrogio e Corso del popolo di Monfalcone si chiama vuoto

Due vie parallele, che si contendono il dominio di Piazza della Repubblica di Monfalcone, o Tržič o Monfalcon, città di circa 30 mila abitanti che vede un migliaio di suoi cittadini essere di comunità bengalese. Due vie parallele che hanno due nomi, due storie, ed oggi anche due identità specifiche, via Sant'Ambrogio e Corso del Popolo e poi lì l'immensa piazza della Repubblica che vorrebbe accogliere le due diramazioni del fiume sociale di Monfalcone, ma che in verità ad oggi continua a conoscere solo un processo di desertificazione, incomunicabilità ed anche sottile ma evidente ostilità. In via Sant'Ambrogio una decina sono le attività commerciali gestite da cittadini appartenenti alla comunità bengalese, molto meno quelle italiane, in Corso del Popolo, ad oggi, sono quasi esclusivamente gestite da italiani o da altre comunità ma non bengalesi, almeno questo è quello che pare emergere da una passeggiata sulla via che costeggia il teatro comunale. Due vie parallele che duellano, due vie parallele che vedono diversi esercizi commerciali chiudere, due vie parallele che sembrano rappresentare mondi diversi. Monfalcone ha conosciuto l'integrazione, ha conosciuto l'interazione sociale tra diverse comunità ben cogliendo la tradizione secolare del caduto Impero Austro Ungarico, ha conosciuto le violenze del fascismo ma anche un sano antifascismo, d'altronde è nota per essere comunemente e prevalentemente di sinistra, ma temo che le cose rischiano di mutare in modo pesantemente destro, cosa che forse è sottovalutata.  Sono anni che, prevalentemente in rete, sussistono scontri, spesso pretesti che fomentano odi ed intolleranze, contro i bengalesi. Il Comune è intervenuto diverse volte, esiste un servizio di mediazione linguistico culturale, nel 2014 ha partecipato per la prima volta alla giornata internazionale della lingua madre, che si svolge ogni 21 febbraio, avendo preso l'impegno istituzionale, in quella sede, di dedicare maggiore attenzione a tale giornata ed a ciò che essa rappresenta. Ma la frenesia degli eventi, il costante incremento delle ostilità, figlie di una fallimentare o meglio inesistente condizione di integrazione nell'ottica della reciprocità, ha prodotto l'effetto della ghettizzazione. Tipica delle grandi città, che hanno i loro rioni o quartieri rappresentativi delle comunità lì residenti. Ma la condizione di reciprocità necessita di un confronto, di uno scambio interculturale, di una apertura, della volontà di condividere le proprie conoscenze e tradizioni e stili di vita, necessita di uno sforzo sociale da entrambe le parti, l'integrazione non può essere solo unilaterale. Ma questi sono tempi difficili, ove ognuno pensa alla propria via, a riprodurre il suo naturale ambiente, per motivi tanto ovvi quanto banali, come d'altronde hanno fatto gli italiani all'estero, con la piccola Italia e così via discorrendo. Ebbene, la situazione a Monfalcone è evidentemente difficile, e non deve stupire se le prossime elezioni amministrative riserveranno delle sorprese non positive, non tanto per incompetenza del Comune, certo delle responsabilità sussistono, ma perché questo momento temporale è caratterizzato da sentimenti di ostilità verso l'altro, l'altro liquidato come straniero e non autoctono. Alla chiusura di una piccola comunità si rischia di rispondere con la chiusura di una intera città, cosa da evitare, perché gli effetti saranno devastanti. Percorrendo prima via Sant'Ambrogio e poi Corso del Popolo, ho pensato ad un momento di socializzazione, tra due vie parallele che non si parlano, distanti appena qualche metro, ad un momento di multiculturalismo, quello che ha fatto grandi queste terre, quello che oggi lo si può leggere solo rapidamente nei libri di storia. Ho pensato ad una Piazza della Repubblica che possa ritornare ad essere momento di socializzazione e non di chiusura pur nella sua imponente vastità. La desertificazione dei luoghi tipici di Monfalcone e la ghettizzazione reciproca è un fattore che rischia di condurre ad un processo di implosione, basta una goccia, quella che forse molti attendono ogni giorno, per fare saltare l'apparente ed inesistente equilibrio sociale di Monfalcone. E poi nulla sarà come prima, questo è poco ma sicuro con la buona pace della integrazione virtuale, con la buona pace dello spirito, oggi inteso proprio in senso astratto, di accoglienza, con la buona pace anche di chi ovviamente lucra, sfruttando questa situazione a proprio vantaggio, sia dal punto di vista lavorativo che dal punto di vista economico e commerciale. Ad oggi, questo ipotetico duello comunque un vincitore lo ha, e si chiama vuoto, in tutti i sensi.


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