Lo prenoti.
Aspetti e vivi l'ordinario corso, dalla direzione non sempre definita, del tempo e dunque arriva l'atteso e non disatteso momento.
Ma prima di comprare il
libro, in quella Ronchi dei Partigiani che si appresta a ripristinare
dignità al proprio essere antifascista, revocando, finalmente, il
14 aprile, la cittadinanza onoraria a Mussolini, primo atto di una non rappresentazione ma piccola ed importante vittoria figlia della cultura resistente che, se tutto andrà
bene ,
riserverà altre sorprese, se tutto andrà male, possiamo sempre
dire di averci creduto e provato e nulla di intentato, ebbene lì incontrerai,
presso la locale Anpi, la memoria storica che vive.
Parlerai con un compagno
che ha creduto nella settima federativa, che è andato in Jugoslavia
per l'edificazione del socialismo reale, e poi il rammarico e la non comprensione. "Eravamo sempre compagni", ti dirà.
Compagni che potevano avere una pur idea diversa, ma sempre compagni.
Finito il socialismo rivoluzionario e reale, nel rapido divenire surreale la
peggiore delle disillusioni.
Lascerai quell'incontro
con l'amaro in bocca e penserai, eppure ci avevan creduto.
Corri, corri, la libreria
piccola ma immensamente grande di Ronchi sta per chiudere.
Due chiacchiere fugaci
sul convegno del 14 giugno sulla storia ed il perché di Ronchi dei
Partigiani ed ecco il libro in mano, la tua mano, la sinistra.
Sali in auto, sistemi il pugno del tuo Pinocchio comunista, e poi, ecco il libro.
Lo apri, lo sfogli e ti fermi e vivi un poi che ti
riporta indietro nel tempo, di dieci anni circa.
Al 2005.
A Bologna.
Ai giorni
dell'occupazione della facoltà di giurisprudenza, i giornali di quel
tempo, ricordo, che dicevano che era dal 1977 che non accadeva una
cosa del genere, che non si occupava giurisprudenza, altri compagni
ti diranno in verità era dal 1990 circa, anni della Pantera.
Poco importa, nessuno
cercava il primato.
Ci chiamavamo collettivo
ora d'aria.
Il tutto deciso sopra il
terrazzo della facoltà, appunto, ora d'aria.
Occupazione breve, ma
intensa, talmente intensa che in città si creò un certo stupore, nel senso che non si poteva mica occupare giurisprudenza, il tempio della legalità.
E poi le assemblee alla
facoltà di lettere.
Già.
E fu allora che in uno di
questi momenti di lotta, e vi garantisco che si respirava aria
vivamente rivoluzionaria, conobbi Stefano.
Iniziai a leggere i suoi libri sulla
memoria non condivisa, iniziai a comprendere la sua battaglia per la diffusione della conoscenza perché le nuove generazioni
non conoscevano, e forse neanche oggi conoscono, cosa accadde negli
anni ribelli ed anche, per diversi aspetti belli di questo Paese ma che hanno posto, ingiustamente, sotto processo un'intera generazione.
Il suo amore per la
musica, la condivisione delle sigarette alla Linea, la militanza nel
PRC.
Ma anche la solitudine nel silenzio delle sue parole, il suo gesticolare,
il suo leggere ad alta voce per parlare a chiunque e non ad una cerchia
elitaria letteraria, la presenza immancabile della sua compagna. Parole semplici ma profonde, dovevi saper
comunicare, dovevi saper trasmettere l'emozione ma anche il dolore di quell'amore
insorto e ribelle che il sistema ha duramente represso, ma non
ucciso, perché la voglia di ribellarsi vive, vive con quel semplice
ma immensamente a Stefano Tassinari che leggerai nella prima pagina
del libro, l'Armata dei sonnambuli, del collettivo Wu Ming.
Saranno trascorsi minuti,
saranno trascorsi minuti di silenzio, quanti?
Non lo so.
Piccoli ma infiniti, anzi definiti "ritagli di tempo" e poi “Adunchi come
becchi di rapaci, arrossati dal gelo del mattino, bitorzoluti e
tumefatti dal bere... ” ed inizia l'avventura in quella Parigi ove
incombe,il rumore per alcuni, il suono per altri, della “ Madama
Ghigliottina”.
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