La celebrazione del fascismo della passeggiata di Ronchi di D'Annunzio e l'occupazione di Fiume

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Mio caro compagno, Il dado è tratto. Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto febbricitante. Ma non è possibile differire. Ancora una volta lo spirito domerà la carne miserabile. Riassumete l'articolo !! che pubblicherà la Gazzetta del Popolo e date intera la fine . E sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio Non sarà stato forse un fascista dichiarato, D'Annunzio, certo è che non fu mai antifascista, era lui che aspirava a diventare il duce d'Italia e la prima cosa che fece, all'atto della partenza da Ronchi per andare ad occupare Fiume, fu quella di scrivere a Mussolini, per ottenere il suo sostegno. Perchè D'Annunzio ne aveva bisogno. Il fascismo fu grato a D'Annunzio, per il suo operato,  tanto che si adoperò anche per il restauro e la sistemazione della casa dove nacque D'Annunzio e morì la madre. E alla notizia della morte, avvenuta il 1 marzo del 193

L'antifascismo che resiste: il caso Ronchi dei Partigiani

Intervento pubblicato per GIAP WUMING Foundation 
Wu Ming1 scrive :" Il problema di tutte le rivisitazioni / rivalutazioni “da sinistra” degli ultimi anni è che, pur interessanti, si basano su una grandissima RIMOZIONE. In queste ricostruzioni è come se non esistessero – o sono pochissimo importanti – le popolazioni di lingua slava del Quarnero, dell’Istria e della Dalmazia. Popolazioni che pure erano la maggioranza in quelle zone. E che dalla fine della Grande guerra in avanti subirono la violenza dello spostamento a est del confine italiano, della dittatura fascista e dell’occupazione nazifascista.
Di Fiume si capisce il senso solo se si “rovescia lo sguardo”, re-introducendo nel quadro gli slavi che l’italocentrismo (e/o la coda di paglia) costantemente rimuovono.
Grande merito di questo post è di sottolineare, a colpi di citazioni e dati di fatto innegabili, lo schifoso razzismo di D’Annunzio e di tutta la retorica su cui si basava l’impresa. Razzismo antislavo che, come giustamente dice Tuco, è il principale anello di congiunzione col fascismo e – come dice Barone – con la seconda guerra mondiale, cioè con l’occupazione dei Balcani"
L’impresa di Fiume non si può comprendere se non si studia la storia del confine orientale e della lunga stagione di crimini italiani nel territorio che oggi chiamiamo “ex-Jugoslavia”.

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Nel centenario dell’inizio della Grande guerra, questo articolo affronta nodi simbolici ed eredità odierne della cosiddetta «impresa di Fiume». Evento che, per linguaggio, stile, retorica e violenza, fu un’anticipazione del fascismo e un anello di congiunzione tra le due guerre mondiali. Un post che partendo dalla Calabria, raggiungerà Fiume per poi fermarsi a Ronchi dei Legionari, e attraverso una lettura critica dell'impresa di occupazione fiumana metterà in discussione la denominazione dei Legionari cercando di restituire la giusta dignità ad un luogo, ad una comunità, ad una cittadina, che ha lottato contro il fascismo per quella libertà e quella dignità che va difesa anche attraverso i simboli ed è quello che ora tentiamo di fare.

Ci sono luoghi, a volte distanti mille e più chilometri,  ma emblematicamente  più vicini  di quanto si possa immaginare. Esistono storie, uomini o donne, che hanno scalfito, nel bene o nel male, questione di prospettiva sociale, l'identità di quella terra che ospita oggi giorno i tuoi passi, che hanno plasmato ideologie epiche da cui sono sfociate violenze e sofferenze. Esiste una storia che mai è stata superata, una storia che oggi ancora bussa alle porte dell'indifferenza, contro ogni dormiente pensiero, perché la storia non può dormire, la storia è il presente che condizionerà quel futuro che ognuno di noi vuole mutare o stabilizzare nel nome di un proprio ideale, nel nome della verità, nel nome della giustizia laica e sociale, nel nome della dignità collettiva ed individuale. Questo è il caso, non casuale, non figlio di alcun fato, che lega personaggi e città distanti e diverse, questo è il caso di Ronchi dei Partigiani, di Fiume, di Vibo Valentia, di Luigi Razza, di Mussolini, di D'annunzio, dell'irredentismo, del nazionalismo, del fascismo e dell'antifascismo.


Egli sapeva amarmi come tu medesimo sai. Dal Vittoriale degli Eroi egli partì per la morte a tradimento. L’orbo veggente scoprì subito il tradimento. I testimoni sono vivi. Anche con queste parole di amicizia, d'amore fraterno, Gabriele D'Annunzio ricordava il suo amico Luigi Razza nato a Monteleone di Calabria (oggi Vibo Valentia),il quale è stato redattore del Popolo d’Italia e segretario dei Fasci d’azione di Milano. E’ stato Deputato (dal 1924), divenne segretario e poi presidente della Confederazione dei sindacati fascisti dell’agricoltura (1928-33) e membro del Gran Consiglio del fascismo. Fu ministro per i Lavori pubblici per Mussolini (1935); morì mentre si recava all’Asmara. Ma il legame che vi è tra D'Annunzio e Luigi Razza, passa anche attraverso i luoghi, i simboli, attraverso il mito dell'Impero Romano, che sarà la spada che violenterà la dignità di intere comunità, popoli e semplici cittadini. Nel 1939 a Vibo Valentia, città natale di Luigi Razza, venne inaugurata da Benito Mussolini durante la sua visita alla città, il monumento a lui dedicato, il quale si erge in Piazza San Leoluca su un alto piedistallo, sormontato da una stele recante in cima l’effigie marmorea della Vittoria alata.

Un’altra effigie gli è stata riservata nel Palazzo del Municipio, anche questo a lui intitolato e con inciso la sua città grata, 

scritta che verrà riportata nella corona che periodicamente verrà apposta alla base del monumento fascista di Vibo, probabilmente l'unico in Italia ancora oggi esistente dedicato ad un ministro del Regime fascista, con tanto di nastro tricolore.


Ma a Luigi Razza sono state state intitolate e dedicate diverse vie, il locale aeroporto militare, base del reparto “cacciatori Calabria” dei Carabinieri, lo stadio comunale, una piazza e la via principale del cimitero cittadino ove primeggia su tutte l'immensa cappella del Ministro Fascista preceduta da un vialetto circondato, ancora oggi, da fasci littori,

ed ovviamente all'interno della stessa troverai foto di Mussolini e del periodo fascista. Ma vi è di più, Poste Italiane, su richiesta del Comitato Vibonese Luigi Razza, ha realizzato a margine di un recente convegno su Luigi Razza, uno stand per lo speciale annullo filatelico dedicato al ministro fascista, per essere apposto su una cartolina celebrativa a tiratura limitata. Il 19 gennaio 1928, come molte altre città dell'Italia meridionale ma non solo, Monteleone, venne richiamata con il suo antico nome latino di Vibo Valentia, in omaggio alla politica fascista di romanizzazione dell'Italia.
Iniziative di omaggio e di identificazione con l'antica civiltà dell'Impero Romano che si ponevano nell'ottica dell'italianizzazione e della fascistizzazione dell'Italia, che vennero anticipate proprio da quel luogo che altro non fu che una semplice base logistica per il caro amico di Luigi Razza, Gabriele D'Annunzio, ovvero Ronchi di Monfalcone, per la sua marcia su Fiume.
Ronchi di Monfalcone che divenne Ronchi dei Legionari, e fu uno dei primi, se non addirittura, il primo cambio di denominazione che avvenne in un Comune d'Italia nel pieno spirito della romanizzazione di questo Paese durante il regime fascista. Già, Ronchi dei Legionari deve il suo attuale nome alla spedizione di occupazione dei legionari, capeggiati da Gabriele D’annunzio, del 12 settembre 1919. Una forza prevalentemente volontaria irregolare di nazionalisti ed ex combattenti italiani,  partendo da Ronchi, invaderà ed occuperà Fiume. Impresa di chiara occupazione e non si deve dimenticare che nel Patto di Londra del 26 aprile 1915 negli articoli 4 e 5 Fiume non era inclusa nelle richieste italiane in caso di vittoria. 

“ In nome di tutti i morti per l'Italia giuro di essere fedele alla Causa Santa di Fiume, non permetterò mai con tutti i mezzi che si neghi a Fiume l'annessione completa ed incondizionata all'Italia. Giuro di essere fedele al motto: Fiume o morte”. Questa era la formula del giuramento di Ronchi per la marcia di Fiume. Venti ufficiali, 222 granatieri, 4 mitragliatrici, 4 pistole mitragliatrici 16 mila munizioni per i fucili e la spedizione ebbe luogo con alla testa la Fiat tipo 4 con l'ausilio determinante di una parte di esercito che a seguito della pace, della riduzione di personale, della smobilitazione, rischiava di perdere la sua vera anima e che probabilmente avrà visto in D'Annunzio ed in Fiume, con la piena complicità dello stesso Vate, uno strumento utile per fini che solo la storia riuscirà a spiegare con gli eventi che ne conseguiranno. Fiume era solo uno strumento e non il fine. E'  interessante, a tal proposito,  la testimonianza del  maggiore Carlo Reina,Capo di Stato maggiore del comando fiumano dal settembre al dicembre 1919,protagonista insieme a D'Annunzio della marcia su Fiume, che poi per diversi motivi venne allontanato dal Vate e spedito in via punitiva a Zara.

Nella sua relazione sulle vicende fiumane del 1921 inviata a Prezzolini, così scriveva “ veniva trattato l'invio di circa un centinaio di Ufficiali in Italia per avvicinare e lavorare gli ambienti più facilmente rivoluzionabili, studiare gli edifici che in ogni singola Città avrebbero dovuto essere occupati, come banche, stazioni ferroviarie, poste, telegrafi ed infine studiare il moto di armare la milizia cittadina. (…) Era intenzione del Poeta di inviare in Italia( durante il periodo delle elezioni politiche ndr) un adeguato numero di legionari col preciso mandato di rompere le urne il giorno delle elezioni. Già tutto era pronto per questa spedizione quando corse a Fiume Mussolini ad impedire l'attuazione”.
D’Annunzio, che è stato anche uno dei primi firmatari del manifesto degli intellettuali fascisti, scriveva,poco prima della partenza per Fiume, a colui che sarebbe diventato il dittatore fascista,Benito Mussolini, “domattina prenderò Fiume con le armi”. Poi lo implorava affinché il dittatore non lo lasciasse solo in tal sventurata impresa di occupazione. Il 23 marzo del 1919 a Milano Mussolini fondò i fasci di combattimento e sempre in tale anno Mussolini finanziò l’impresa di Fiume raccogliendo quasi tre milioni di lire. Una prima tranche di denaro, ammontante a 857.842 lire, fu consegnata a D’Annunzio ai primi di ottobre, altro denaro in seguito. D’Annunzio inviò successivamente  una lettera a Mussolini e certificò che parte della somma raccolta fu utilizzata per finanziare lo squadrismo a Milano richiamandosi ai legionari di FIUME ed invitandolo a fare suo il motto degli autoblindo di Ronchi: « Mio caro Benito Mussolini, chi conduce un’impresa di fede e di ardimento, tra uomini incerti o impuri, deve sempre attendersi d’essere rinnegato e tradito “prima che il gallo canti per la seconda volta”. E non deve adontarsene né accorarsene. Perché uno spirito sia veramente eroico, bisogna che superi la rinnegazione e il tradimento. Senza dubbio voi siete per superare l’una e l’altro. Da parte mia, dichiaro anche una volta che — avendo spedito a Milano una compagnia di miei legionari bene scelti per rinforzo alla vostra e nostra lotta civica — io vi pregai di prelevare dalla somma delle generosissime offerte il soldo fiumano per quei combattenti. Contro ai denigratori e ai traditori fate vostro il motto dei miei “autoblindo” di Ronchi, che sanno la via diritta e la meta prefissa. Fiume d’Italia, 15 febbraio 1920 Gabriele D’Annunzio.» 
Certo quell'impresa è stata ben vista anche da una parte di sinistra, anche per alcuni principi adottati nella Carta del Carnaro, eppure era una carta che aveva diversi aspetti di autoritarismo puro, come il divieto di sciopero,in caso di grave pericolo per la Repubblica l’Assemblea Nazionale poteva nominare un Comandante per un periodo non superiore ai sei mesi. Il Comandante durante il periodo in cui rimaneva in carica esercitava tutti i poteri politici e militari, sia legislativi che esecutivi. I membri del potere esecutivo funzionavano come suoi semplici segretari. Allo spirare del termine fissato per la durata della carica del Comandante, l’Assemblea Nazionale si doveva riunire nuovamente e deliberare sulla conferma in carica del Comandante stesso, sulla sua eventuale sostituzione o sulla cessazione della carica. Una carta che legittimava la proprietà privata e pur confermando la sovranità collettiva di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di classe e di religione riconosceva maggiori diritti ai produttori.
Certo, la Russia bolscevica sarà l'unico paese a riconoscere la Reggenza italiana di tal luogo, alcuni esponenti politici di allora di sinistra vedevano, in modo illusorio, nell'impresa un momento per rivoluzionare l'esistente verso uno stato nuovo, ma è il caso di precisare che non tutta la sinistra non tutti gli intellettuali, artisti e persone di cultura hanno sostenuto quella pagliacciata.
Ecco cosa scrivevano alcuni professori od intellettuali in merito alla volontà di realizzare il monumento a D'Annunzio a Ronchi: “Infatti indipendentemente dai propositi di sincero patriottismo di taluno dei partecipanti, oggi risulta chiaro – anche secondo il giudizio della più recente storiografia – che l’impresa dannunziana rappresentò il primo passo sulla via della sovversione violenta del costume morale e civile di libertà trasmessoci dalle generazioni del Risorgimento, nonché la premessa ideologica e tattica del fascismo, e comunque un sintomo evidente di quel disordine spirituale che interruppe il naturale sviluppo della democrazia italiana. D’altra parte la stessa impresa, esasperando odi locali e conflitti nazionalistici, ostacolò l’avvio ad un’equa soluzione dei problemi politici dell’Alto Adriatico. Celebrare oggi questo episodio significa screditare l’ordinamento democratico del paese e compiere opera di diseducazione politica e civile, particolarmente nei riguardi dei più giovani, ai quali si addita come esemplare un gesto irrazionale di sovversione e violenza”.

Oppure lo stesso Pasolini scriveva che La sua importanza letteraria( D'Annunzio ndr) è soltanto negativa, e cos’è la sua importanza nel costume e nella storia. Egli rappresenta e esprime l’Italia nel suo momento involutivo: nel momento cioè in cui il Risorgimento ha mostrato i suoi limiti, la sua vera essenza di rivolta aristocratica, il suo liberalismo apocrifo (cfr. Gramsci), e la nuova classe borghese è cominciata a diventare quello che è: una mostruosa riserva di egoismo, di conformismo, di paura, di mistificazione, di ristrettezza mentale, di provincialismo. (…) L’impresa di Fiume è stata una pagliacciata narcisistica. I poveri, onesti nazionalisti friulani ne sono delle ingenue vittime

Od ancora: “Proprio in questi giorni ho visto in visione privata il filmAll’armi siam fascisti!– che è un film stupendo, una fra le più emozionanti opere cinematografiche che abbia mai visto. Tra le centinaia di altre cose, vi si vede, due o tre volte, D’Annunzio: regolarmente sfottuto dallo splendido commento di Franco Fortini: «Poeta, malgrado il suo cattivo gusto», lo chiama Fortini: ed è l’unico complimento che io non condivido. Perché il cattivo gusto di D’Annunzio è un cattivo gusto politico, cioè fascismo; e fascismo e poesia non possono mai coincidere, «per contraddizion che no’l consente».Per capire veramente D’Annunzio, il lettore medio deve vedere questo film, ammesso che la censura lo sblocchi. E se non lo sbloccasse, sarebbe davvero il caso più scandaloso di quanti hanno reso celebre la censura italiana in questi anni: un caso da dover scendere in piazza. Ripeto: solo in un simile contesto che mette davanti agli occhi in modo fulminante e indubitabile tutto ciò che ha costruito, prodotto e integrato il fascismo, si può intendere bene cosa è stata la poesia di D’Annunzio, col suo atroce gusto, col suo stantio spudorato classicismo, le sue facili orge di raffinatezza a poco prezzo. Pier Paolo Pasolini, articolo pubblicato sulla rivista Vie nuove, 30 settembre 1961


Narcisismo ed edonismo esasperato tra le antiche mura di Fiume ove D'Annunzio ha protetto anche le violenze e le nefandezze che si sono consumate in loco. Reina,sempre nella relazione inviata a Prezzolini nel gennaio del 1921, denunciava che D'Annunzio proteggeva i consumatori di cocaina esigendone l'incolumità, od ancora “ da lui venivano donne da Trieste, Roma, Venezia. La Baccara era la favorita e in quel simulacro di corte aveva le funzioni di Regina. Ogni sera il Poeta andava a pranzo alla mensa degli Aviatori e sempre portava in regalo a ogni commensale una bottiglia di champagne; 27 erano i commensali e 27 le bottiglie che ogni sera venivano sturate da quei signori, mentre fuori la popolazione veramente soffriva la fame”.

Il punto nodale della questione è il motivo reale del nome Ronchi dei Legionari e dei simboli, monumenti ancora oggi esistenti, dedicati al fascismo. A tal proposito è importante evidenziare che la Spagna ha recentemente rimosso tutte le statue di Francisco Franco, anche se a dire il vero qualche via intitolata ai fascisti di Franco esiste ancora. Dal libro Ronchi dei Legionari Storia e documenti di Silvio Domini, edizione dicembre 2006, a pagina 147 , emerge un documento tratto dall'Archivio Comunale di Ronchi nel quale si evidenzia la chiara volontà politica di stampo nazionalistico e non solo , che sarà tipica del fascismo, che determinerà il cambio del nome di Ronchi. Infatti, il motivo reale e sostanziale che ha comportato il mutamento del nome, proposto il 4 ottobre del 1923 dal Consiglio comunale popolar-fascista, sarà il seguente :“ rammentando la nobile ed audace Impresa del Comandante G.D'Annunzio, il quale partì con i suoi Legionari da Ronchi, per suggellare l'Italianità della Città di Fiume, rendendo con ciò noto per la seconda volta il nome di Ronchi nella storia delle rivendicazioni italiane”. Mussolini ritardava dall'attuare tale richiesta come formulata dai fascisti di Ronchi, probabilmente perché in competizione con D'Annunzio.
Ma quando comprenderà che la denominazione dei Legionari si conciliava perfettamente con quello spirito della romanizzazione dell'Italia che lui voleva imporre ed ha imposto, quando capirà che la Marcia su Fiume altro non è stata che l'anticipazione della Marcia su Roma, facendo proprio il fascismo quella pericolosa impresa dannunziana, non potrà che acconsentire, ma per acconsentire sarà necessario un mero atto di omaggio e di fedeltà che Ronchi doveva manifestare espressamente nei confronti del Duce.
Ed ecco che il 17 maggio del 1924 il Consiglio Comunale prevalentemente fascista di Ronchi delibererà nella seduta straordinaria di nominare Benito Mussolini “ cittadino onorario di Ronchi di Legionari” il quale il 2 novembre del 1925 con il Regio Decreto firmato da Rocco e pubblicato nella G.U n° 283 del 5 dicembre 1925 decretò il nome Ronchi dei Legionari ed il 20 settembre 1938 si fermò a Ronchi dei Legionari, dopo la proclamazione delle Leggi Razziali a Trieste, proprio per consacrare la fascistizzazione del nuovo nome in armonia con la fascistizzazione dell'Italia razzista. Si deve precisare che la decisione di consacrare il nome di Ronchi ai legionari di D'annunzio, all'impresa di Occupazione ed italianizzazione di Fiume, coincide con il periodo delle leggi fascistissime. Come la legge 26 novembre 1925 n. 2029 che predispone una mappatura dell’associazionismo politico e sindacale operante nel regno, come la legge 24 dicembre 1925 n. 2300 che predispone l' allontanamento del servizio di tutti i funzionari pubblici che rifiutano di prestare giuramento di fedeltà al regime, come la legge 24 dicembre 1925 n. 2263 (primo intervento strutturale in materia costituzionale), ed il nome Ronchi dei Legionari cade proprio nel mezzo della fascistizzazione dell'Italia. Il Fascismo farà propria l'impresa di Fiume, farà propri i simboli introdotti dal guerrafondaio D'Annunzio con quell'impresa di occupazione, come il saluto romano con il braccio alzato, la camicia nera istoriata di teschi, ed il grido eia eia alalà, il balcone di Fiume che diventerà il balcone di piazza Venezia, ed il nome Ronchi “dei Legionari” sarà fascista e non potrà che essere fascista. E' necessario impiegare il maggior numero di persone nella propaganda in paese e fra le truppe, oggi bisogna agitare e far sì che la Nazione tutta senta l'ora storica che attraversa. Il gesto compiuto a Fiume deve aver termine a Roma” queste le parole di Giovanni Giurati quando si rivolgeva ad un esponente di primo piano del combattentismo giuliano, ringraziandolo per il contributo offerto da Trieste ai legionari.
E da Trieste, Giunta, dirà che bisognava liberare la regione intera dall'incubo comunista-slavo,dimostrare a certi subdoli stranieri che Trieste era una città italiana che non teneva affatto alla qualifica anseatica e poi marciare su Roma e scacciare i mercanti del tempio ( dannunzianesimo e fascismo di confine di A.M.Vinci pag.123 e ss in Fiume D'Annunzio e la crisi dello Stato liberale d'Italia)

E non si deve dimenticare che il fascismo inserì D'annunzio tra i suoi precursori anche grazie ad alcuni stretti collaboratori del Vate come Malusardi, Marpicati, Amilcare De Ambris, che si congiunsero senza perdere tempo alcuno con il nascente regime e sarà proprio nell'impresa fiumana che si forgeranno i gusci più rilevanti del primissimo fascismo giuliano,friulano ecc.

Anzi è il caso di ricordare, a tal proposito, per esempio che  invece Alceste De Ambris fu anche un massone, e Camillo Berneri ricorda nei suoi scritti che ” Il Gran Maestro della massoneria Domizio Torrigiani quando fu proclamata l’annessione di Fiume, con una balaustra circolare (28 febbraio 1924) rivendicava al Grande Oriente il merito di aver proclamato fin dall ‘armistizio l’italianità di Fiume e le necessità dell’annessione. Si sa che l'impresa di Ronchi” fu possibile per l’appoggio della Massoneria, che si affrettò a garantire alla Massoneria scozzese-americana il governo provvisorio di Fiume. D’Annunzio fu perfino investito del cordone di 33 del Rito Scozzese antico”.

Vittorio Graziani, invece, diviene il nuovo segretario del fascio urbano di Gorizia ed era già stato segretario della componente goriziana della Federazione nazionale dei legionari fiumani, il fascio di Udine avrà luogo, guarda caso, all'interno della Rappresentanza per il Friuli della Reggenza italiana del Carnaro, il Friuli fascista, un giornale locale, altro non farà che riprendere la demagogia e lo stile retorico del fiumanesimo dannunziano, a Trieste, Francesco Giunta ha come modello D'annunzio e sarà proprio con il sostegno all'impresa fiumana che inizierà la sua carriera violenta e fascista. ( dannunzianesimo e fascismo di confine di A.M.Vinci pag.123 e ss in Fiume D'Annunzio e la crisi dello Stato liberale d'Italia)


Innanzi al palazzo del Municipio di Ronchi domina nella piazza un monumento dedicato alla resistenza, perché Ronchi tra le varie cose, ha la decorazione al Valor Militare per la Guerra di Liberazione, perché centinaia e centinaia sono stati i cittadini di Ronchi che hanno combattuto per la libertà e contro il fascismo e che sono stati uccisi per questo.


Pensando a ciò, alla contraddizione che emerge tra una denominazione che nulla ha che vedere con la reale storia di Ronchi, con l'identità di Ronchi, con la reale vita della comunità di Ronchi, con il senso di appartenenza a Ronchi, ed è questo il punto nodale della questione, visto ed anche rilevato che a quell'impresa di occupazione non parteciparono cittadini di Ronchi, ma la città fu ed altro non fu che una semplice base temporanea logistica, con un gruppo di cittadine e cittadini in un giorno di fine estate 2013, decidiamo di realizzare un gruppo facebook dal seguente nome Ronchi dei Partigiani. Lo scopo di questo gruppo, che ha centinaia di condivisioni, ha lo scopo di proporre una riflessione, una discussione, un dibattito sull'imposizione della denominazione dei Legionari a Ronchi, denominazione ottenuta in piena prossimità del periodo delle leggi fascistissime e grazie alla cittadinanza onoraria riconosciuta a Mussolini(con deliberazione del consiglio comunale n. 1301/24 dd. 17.05.1924), ma nello stesso tempo proponiamo anche la cancellazione, in modo assolutamente democratico e partecipato e dal basso, della denominazione dei Legionari perché la reputiamo impropria e non espressione dell'identità di Ronchi, perché la reputiamo figlia della cultura fascista, stante il fatto che è stato il fascismo a far proprio l'evento, pericoloso per la pace e gli equilibri appena maturati dopo la prima guerra mondiale, quale la marcia su Fiume. Già, una azzardata impresa che ha reso reale il rischio di isolamento politico ed economico per l'intero Paese, così come reale era il rischio di un conflitto con la Jugoslavia, una “bomba” quella dell'impresa fiumana che ha anticipato in via complessiva e globale ed ispirato nei gesti, nei simboli, nel linguaggio, la marcia su Roma e tutto ciò che ne è conseguito. E' interessante a tal proposito riportare anche quanto scrisse D'annunzio nel “libro segreto”: 
Cursore leale ho trasmesso con tutti i miei segni la face all' uomo novo che l'Orbo veggente aveva annunziato nei suoi Canti della Ricordanza e dell'Aspettazione”. L'uomo novo è Mussolini, e D'Annunzio consegna la “vittoria non più mutilata” ovvero l'eredità dell'Impresa di Fiume e di tutto ciò che vi è connesso a Mussolini. Nel 1903, nei versi di Elettra, quando introduceva la Città del Silenzio, si parlava già dell'uomo nuovo, come l'Eroe da attendere, e che arriverà e che verrà identificato al momento opportuno in Mussolini a cui consegnerà la sua “eredità”. A proposito del concetto di uomo nuovo, questo, ovviamente, lo farà proprio Mussolini «Noi abbiamo respinto la teoria dell'uomo economico, la teoria liberale, e ci siamo inalberati tutte le volte che abbiamo sentito dire che il lavoro è una merce. L'uomo economico non esiste, esiste l'uomo integrale che è politico, che è economico, che è religioso, che è santo, che è guerriero.» (Benito Mussolini, Discorso del 14 novembre 1933, in "Tutti i discorsi - anno 1933 ) Dopo l'Impresa d'Africa, D'Annunzio, maturò i massimi rapporti con Mussolini e fu la censura fascista a conferire il nulla osta alla stampa del libro segreto grazie specialmente all'immenso patriottismo e nazionalismo ivi contenuto oltre che a qualche riferimento al Dittatore oltre che indiretti, forse non poi tanto indiretti, sensi di dispregio verso quelli che lui definirà barbari.” Dissi è da cancellare il nome di Cattaro, che sta laggiù in fondo al suo golfo rimoto come il Vallone di Risano dall'altra parte”(...) “ per gioco non perfido io chiamai la mia azione inesorabile voluta da me solo, io la chiamai Teodia” dalla baia di Teodo e Teodia è canto in onore del dio. O ancora “ ma v'è una stirpe barbarica che mostra una smisurata forza, ne sento la pulsazione nelle tempie, come quando il rivolgimento tellurico si annunzia, noi latini diamo il contributo verbale: telluris opes. V'è un Dio d'Italia che sollevi domani di mille cubiti la statura nostra? Che ci renda la volontà della potenza, del diritto divino, dell'imperio ereditato?”


Il 15 novembre 2013 proponevo una istanza di Accesso agli atti al Comune di Ronchi dove formulavo vari quesiti che avevano lo scopo di risollevare il problema della cittadinanza onoraria di Mussolini a Ronchi, fatto strettamente connesso all'attuale denominazione.
Il Sindaco di Ronchi risponderà in modo positivo, prendendo pubblicamente l'impegno e l'iniziativa di adoperarsi il prima possibile per revocare la cittadinanza onoraria a Mussolini dopo ben quasi 90 anni dalla concessione.

Anche il Partito della Rifondazione Comunista di Ronchi presenterà una mozione, successivamente a ciò, per sollecitare la revoca della cittadinanza onoraria a Mussolini e tutto ciò che è conseguito ad essa ed ovviamente l'ANPI locale sostiene  la revoca della cittadinanza onoraria a Mussolini.

Ma, come è ovvio che sia, il tutto inizia lentamente ad avere un piccolo ma importante effetto domino. Sono ancora tanti i Comuni italiani che hanno riconosciuto la cittadinanza onoraria a Mussolini senza mai revocarla, uno di questi è Gorizia. Già, anche Gorizia ha tra i suoi “cittadini” Mussolini, anche se i motivi della cittadinanza riconosciuta a colui che è stato il simbolo, l'artefice del fascismo e di tutto ciò che vi è connesso, sono diversi rispetto a quelli di Ronchi, ciò perché la cittadinanza riconosciuta dal consiglio comunale di Ronchi era una forma simbolica, ma importante, per sollecitare il cambio del nome nell'attuale Ronchi dei Legionari, cosa che è effettivamente accaduta. Dal Piccolo del 13 dicembre 2013 si apprende che il Sindaco di Gorizia avrebbe così risposto in merito al fatto di provvedere a revocare la cittadinanza anche in detto Comune a Mussolini: “Mi aspettavo che prima o poi qualcuno mi avrebbe posto questa domanda. Mi sembra che ci siano cose più importanti da risolvere. Lasciamo che la storia continui a dormire”. Uno schiaffo che viene dato specialmente ai giovani, alle nuove generazioni che hanno raccolto i valori dell'antifascismo che mai quanto ora sono attuali, basta vedere quello che accade in questi giorni in Italia o nell'Europa dell'Est dove attacchi squadristi, incitazione all'odio verso lo straniero, tentati assalti alle sedi dei sindacati, giusto per citare gli esempi più eclatanti, lasciano ben intendere come in questo Paese, in particolar modo, il fascismo, con tutte le sue evoluzioni, è un problema sociale attuale. Quella risposta è anche uno schiaffo che viene dato a chi ha lottato contro il fascismo, a chi è morto per colpa e mano del fascismo, uno schiaffo anche contro la Costituzione nata dalla resistenza. La storia non può continuare a dormire, l'indifferenza è il male dei mali e l'antifascismo è sempre urgente, i principi, la dignità, i valori, i diritti civili, l'etica, devono essere sempre al primo posto e su questo non si discute. Il fatto che si dica che ci sono cose più urgenti è la solita scusa adottata non tanto per non voler affrontare il problema, che è un problema, bensì perché probabilmente si condivide ciò che non si vuole revocare. Revocare l'atto di cittadinanza a Mussolini non è un semplice atto formale e simbolico ed inutile per la città considerata, è invece un mero atto formale che è sintomo di sostanza e questa sostanza si chiama rispetto per la libertà, per la dignità di una intera comunità, rispetto per l'antifascismo. Non voler revocare la cittadinanza onoraria a Mussolini o lasciar dormire la storia significa semplicemente essere favorevoli alla sua cittadinanza ed a tutto ciò che lui ha rappresentato in questo Paese, a tutto ciò che il fascismo ha rappresentato in questo Paese.
Ma nello stesso tempo ecco risvegliarsi i sentimenti dell'Irredentismo. La lega nazionale di Gorizia ci accusava di essere grottescamente antistorici, in merito all'iniziativa culturale, sociale, intrapresa dal nostro gruppo quale Ronchi dei Partigiani che tra le varie cose scrivevano: “Nessuno può modificare la storia ed è pretestuosa qualsiasi divagazione sull'argomento il 12 settembre 1919 partì da Ronchi la Marcia su Fiume e in seguito la città divenne parte integrante dello Stato italiano!”. A tal proposito è il caso di rimarcare che il legame tra l'impresa di Fiume e la comunità di Ronchi è un grande artificio. E' lo stesso d'Annunzio nei suoi diari dei giorni della marcia a definire Ronchi "piccolo borgo inconsapevole". Inoltre l'impresa non ha inciso minimamente nella coscienza collettiva dei ronchesi che in tutto questo non hanno partecipato nè ne sono stati condizionati. Ne è dimostrazione poi il forte impegno antifascista della popolazione durante la lotta di liberazione e dunque rivendicare con un irredentismo , al di fuori dalla logica, Fiume è incomprensibile oltre che anacronistico. Ma ci accusavano anche di aver manipolato le foto storiche e che ciò sarebbe degno della Enciclopedia Sovietica. In verità, premesso che tutti gli abbonati dell'enciclopedia Sovietica sotto il regime di Stalin quando un personaggio prominente "scompariva", ricevevano delle nuove voci da incollare sopra quelle degli scomparsi, noi non abbiamo cancellato o manipolato alcuna foto, ma semplicemente e liberamente realizzato un logo che vede cancellato con una x il nome dei Legionari ed emergere quello dei Partigiani.

 Ronchi non è dei Legionari, non appartiene ai Legionari e mai potrà appartenere ai Legionari, e quella denominazione dei Legionari, ahimè, lascia, per grave errore storico, intendere il contrario.

Il Dio di Dante è con noi –il Vate dirà in una nuova occasione, il 20 settembre 1919 –. Il Dio degli eroi e di martiri è con noi. È con noi il Dio tremendo e soave che ha i suoi oratorii sul Grappa, sul Montello, nel Carso, che ha le sue mille e mille croci nei cimiteri silenziosi dei fanti, che ha quattordicimila croci in quella terra arsiccia di Ronchi da dove l’altra notte ci partimmo credendo sentire nell’aria l’odore beato del sangue di Guglielmo Oberdan misto al fiato leonino dei combattenti di Marsala accorsi. […] Chi può sperare non dico di abbattere ma di flettere questa volontà umana e divina? […] E il Dio nostro faccia che il vento del Carnaro, passando sopra Veglia, sopra Cherso, sopra Lussin, sopra Arbe, sopra ogni isola del nostro arcipelago fedele e giurato, nel natale italico di Roma e di Fiume romana, giunga ad agitare vittoriosamente tutte le bandiere d’Italia.

Queste sono alcune parole di D'Annunzio nel Natale di Roma che venne pronunciato il 20 settembre 1919. Ecco lo spirito dell'irredentismo essere dominante, ovviamente, anche nella Marcia su Fiume e che ovviamente viene ancora oggi difeso e rivendicato. La Fiume romana che festeggia i propri natali assieme a Roma, sua madre ideale, il ricordo di Buccari, con l’indiretto ma ovvio richiamo alla Grande guerra, il tema fondamentale dell’italianità dall'area adriatica, il richiamo al luogo della cattura di Oberdan che era proprio a pochi passi dalla dimora che ha ospitato D'Annunzio prima di partire per Fiume, il richiamo al primo martire dell’irredentismo, alla redenzione, tutti elementi che ben connotano cosa è anche stata la marcia su e di Fiume. Eppure Ronchi è un luogo collocato vicino al confine. E ciò che era oltre il confine italiano veniva anche considerato come barbaro e selvaggio. Infatti, D'Annunzio, a cui recentemente è stato anche dedicato uno spazio espositivo in via temporanea altamente celebrativo dell'impresa fiumana e del poeta a pochi passi dal Municipio di Ronchi e poco storico, nei confronti dei croati per esempio nella lettera ai Dalmati - E in me e con Lettera ai Dalmati così scriveva : (...) il croato lurido, s’arrampicò su per le bugne del muro veneto, come una scimmia in furia, e con un ferraccio scarpellò il Leone alato oppure (…) quell’accozzaglia di Schiavi meridionali che sotto la maschera della giovine libertà e sotto un nome bastardo mal nasconde il vecchio ceffo odioso...oppure da Gli ultimi saranno i primi. Discorso al popolo di Roma nell'Augusteo, 4 maggio 1919 (…) Fuori la schiaveria bastarda e le sue lordure e le sue mandre di porci! «Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. Io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani.» Erano invece le parole esplicite, pronunciate da Mussolini durante un viaggio nella Venezia Giulia nel settembre del 1920, e come si può notare erano in piena sintonia con il linguaggio, lo stile, e l'intento dannunziano che ha caratterizzato anche i suoi versi razzisti nei confronti della comunità slava. Ed a tal proposito è interessante riportare quanto scrive AnnaDi Gianantonio in relazione alle barbarie del fascismo che si sono verificate in questa fetta di terra. “Nel nostro territorio in quel breve lasso di tempo il duce aveva già mostrato il suo volto anti slavo, accanendosi contro gli sloveni della zona per non macchiare l'identità italiana di luoghi per la cui “redenzione” erano morte centinaia di migliaia di soldati durante la guerra. Territori per nulla compattamente italiani e che bisognava dunque stravolgere nella loro identità. Da qui spedizioni punitive nei villaggi intorno a Gorizia, legge Gentile sulla scuola che prima limiterà, poi impedirà di parlare la lingua slovena, inizio della procedura di italianizzazione dei cognomi, prime persecuzioni contro il clero. E siamo appena agli inizi della dittatura. Mi pare inutile continuare nell'elenco dei successivi, e ben noti, crimini del fascismo al confine orientale, segnati in maniera radicale dalla politica razzista nei confronti degli slavi, che non erano affatto, come ha recentemente affermato Sergio Romano, esclusivamente provenienti dal “contado” ma costituivano un pezzo importante della borghesia cittadina. Intervistato sulla questione della cittadinanza al duce, il sindaco Romoli ha detto che “bisogna lasciare dormire la storia”, dimenticando che è proprio perché la storia si è lasciata troppo a lungo sonnecchiare che la città ha un'identità così frammentata e debole. E' proprio perché come italiani non abbiamo mai voluto chiedere scusa agli sloveni e riconosciuto i nostri errori che la città ha stravolto a fini ideologici il suo passato, cercando di guadagnare il più possibile dalla finta identità del “bono italiano”. Ora i tempi sono maturi per chiudere i conti con quelle vicende e iniziare una fase nuova di collaborazione tra le popolazioni del goriziano. Il GECT, l'organismo che lo stesso sindaco ha individuato come quello che dovrà rilanciare l'economia di Gorizia, è ospitato proprio nel Trgovski dom, edificio sottratto agli sloveni dal fascismo. Come si può collaborare senza togliere la cittadinanza al duce che ordinò il sequestro e la razzia di quell'edificio?” Parole che ovviamente condivido. Eppure in una delle pareti del Palazzo che ospita il Comune di Ronchi sono riportate due date, la prima è quella dell'impresa di Fiume, la seconda quella dell'annessione di Fiume all'Italia avvenuta simbolicamente il 16 Marzo 1924 quando il Re Vittorio Emanuele III arrivando a Fiume, ricevette simbolicamente le chiavi della città.
Date emblematiche, rilevanti che si pongono in linea con il processo dell'italianizzazione che ha partorito immense sofferenze per migliaia di persone la cui unica colpa era quella di non appartenere in sostanza alla folle razza italica, di non parlare italiano, di non essere italiano e figlio della Madre Roma. Luca Meneghesso scriverà che “esistono, come nel caso di Ronchi, imposizioni di tipo ideologico. Più diffuse quelle di tipo nazionalistico: basti pensare a tutti i toponimi slavi (ma anche friulani?) stravolti. Ad esempio il caso del monte Krn che in italiano diventa monte Nero (per la somiglianza di Crn – nero in sloveno – e Krn) nonostante si tratti di un “becco affilato” che scintilla candido di neve per tutto l’inverno come ricorda Boris Pahor. Oppure il caso che unisce entrambe le imposizioni con Sdraussina (Zdravščine) che diventa Poggio Terza Armata: deslavizzazione, italianizzazione ed esaltazione dell’esercito al tempo stesso. Pasolini( con riferimento alla lettera di Pasolini sopra riportata ndr) però, che nella parte critica mi pare convincente, nella parte propositiva, un monumento (?) a Ascoli, mi pare ingenuo e fuori luogo. Graziadio Isaia Ascoli non solo non fu rivoluzionario, ma neanche fu una vittima del fascismo (essendo morto nel 1907). A lui inoltre è dedicata quella Società Filologica Friulana che, nata nel 1919, è cresciuta durante il fascismo senza rischi. Ascoli, inoltre, è stato l’inventore di quel nefasto neologismo concettuale di “Venezia Giulia” che è da rigettare per diversi ordini di motivi che altri prima di me hanno analizzato e che sono gli stessi, più altri, per cui rigettare il monumento ai legionari (oltre che il suffisso a Ronchi). È possibile a posteriori una revisione critica di un’opera imperialistica anche su un piano semplicemente toponomastico? Ronchi dei Partigiani mi piace ma la questione è più complessiva e non la risolveranno i ‘taliani/talians/italiani in quanto amministratori (e gli amministratori anche se furlani bisiachi e sloveni pur sempre italiani restano). D’altra parte neppure i sottani, furlani, bisiachi o sloveni che siano, si interesseranno alla cosa. La nominazione-denominazione è annichilente atto d’imperio. Cose da padri e padroni: non è di là che passa l’emancipazione… Scardinare il linguaggio istituzionale, viralizzare i dialetti, imbastardirsi, ripartire dal basso. Nessuno in dialetto dice “Ronchi dei Legionari” o “Venezia Giulia”: è così che Legionari e gens italiche sono già morti", E dunque Fiume sfociò a Ronchi dei Partigiani, per restituire la dignità ad una comunità che ha lottato per la libertà e la resistenza e chissà che magari un giorno, quando oltre a revocare la cittadinanza onoraria a Mussolini non si procederà anche con la cancellazione della denominazione dei Legionari, semplicemente perché impropria e non rispettosa della vera identità storica, sociale, culturale di Ronchi; e chissà che in tal momento non sarà possibile realizzare tra Fiume e Ronchi un gemellaggio nel nome di una storia che non dorme ma è viva e sveglia, perché la storia siamo noi . Ronchi potrebbe essere uno dei primi, come Comune, ad essere intitolato formalmente ai partigiani, e la forma sarà sostanza, sostanza di dignità.
 
"Già duramente provato dalle operazioni nel primo conflitto mondiale e, forte delle sue tradizioni di dignità civile e politica, reagendo con indomito coraggio alla lunga e crudele dittatura fascista, il popolo di Ronchi dei Legionari, pur se in condizioni di grave inferiorità tecnica e numerica, dopo l'8 settembre 1943, organizzò la Resistenza contro l'occupatore, impegnandolo in numerosi e cruenti scontri. Nel corso di venti mesi di lotta partigiana, malgrado persecuzioni, deportazioni nei campi di sterminio, distruzioni e torture, i Ronchesi furono tra i protagonisti della rinascita della Patria, lasciando alle future generazioni un patrimonio di elette virtù civili, di coraggio e di fedeltà agli ideali di giustizia".

( motivazioni Medaglia d'Argento al valor militare per l'attività partigiana svolta dai suoi cittadini in quel tragico periodo che seguì l'8 settembre 1943 a Ronchi)

Commenti

  1. WuMing1:
    Grande merito di questo post è di sottolineare, a colpi di citazioni e dati di fatto innegabili, lo schifoso razzismo di D’Annunzio e di tutta la retorica su cui si basava l’impresa. Razzismo antislavo che, come giustamente dice Tuco, è il principale anello di congiunzione col fascismo e – come dice Barone – con la seconda guerra mondiale, cioè con l’occupazione dei Balcani.

    Marco Barone:
    Ronchi non è dei Legionari, non appartiene ai Legionari e mai potrà appartenere ai Legionari. Ronchi di Monfalcone divenne Ronchi dei Legionari. Fu uno dei primi, se non addirittura, il primo cambio di nome di un Comune d’Italia, nel pieno spirito della romanizzazione del Paese a opera del regime fascista. Chissà che magari un giorno, oltre a revocare la cittadinanza onoraria a Mussolini, non si proceda anche a cancellare la denominazione «dei Legionari». E chissà che in tale momento non sia possibile realizzare tra Fiume/Rijeka e Ronchi un gemellaggio, nel nome di una storia che non dorme ma è viva e sveglia, perché la storia siamo noi.Ronchi potrebbe essere uno dei primi comuni a essere intitolato formalmente ai partigiani, e la forma sarà sostanza, sostanza di dignità.

    Anna Di Gianantonio :Nel nostro territorio in quel breve lasso di tempo il duce aveva già mostrato il suo volto anti slavo, accanendosi contro gli sloveni della zona per non macchiare l’identità italiana di luoghi per la cui “redenzione” erano morte centinaia di migliaia di soldati durante la guerra.

    Luca Meneghesso:
    La nominazione-denominazione è annichilente atto d’imperio. Cose da padri e padroni: non è di là che passa l’emancipazione… Scardinare il linguaggio istituzionale, viralizzare i dialetti, imbastardirsi, ripartire dal basso. Nessuno in dialetto dice “Ronchi dei Legionari” o “Venezia Giulia”: è così che Legionari e gens italiche sono già morti.

    Piero Purini:
    Considerando che l’intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale fu una specie di colpo di stato antiparlamentare organizzato da Vittorio Emanuele, Salandra e Sonnino con l’aiuto della piazza sobillata in primis da d’annunzio e mussolini, mi pare che la figura di D’annunzio possa essere tranquillamente associata a quella di Junio Valerio Borghese o a De Lorenzo.

    Tuco:
    L’impresa di Fiume col fascismo c’entra eccome

    Salvatore Talia:
    Non mi risulta che l’impresa di Fiume sia mai stata “guardata con simpatia” da Gramsci. In un editoriale pubblicato su “L’Ordine Nuovo” del 4 ottobre 1919, Gramsci definisce D’Annunzio “servo smesso della massoneria anglo-francese”, lo paragona a Kornilov (il generale golpista che nell’agosto del ’17 aveva tentato di instaurare in Russia una dittatura reazionaria) e paragona Fiume alle roccaforti “bianche” di Omsk, di Krasnodar e di Arcangelo, che durante la guerra civile russa furono altrettanti quartieri generali delle truppe zariste.

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