L'articolo
8 bis del decreto istruzione introduce un qualcosa che si allinea con
quel progetto che vuole trasformata la scuola italiana in un luogo
ove si producono lavoratori per incrementare la produttività del
Paese.
Si
prevedono finanziamenti e progetti per far conoscere il valore
educativo e formativo del lavoro, anche attraverso giornate di
formazione in azienda, agli studenti della scuola secondaria
superiore, con particolare riferimento agli istituti tecnici e
professionali, organizzati dai poli tecnico-professionali, per
sostenere la diffusione dell'apprendistato di alta formazione nei
percorsi degli istituti tecnici superiori (ITS), anche attraverso
misure di incentivazione finanziaria previste dalla programmazione
regionale nell'ambito degli ordinari stanziamenti destinati agli ITS
nel bilancio del
Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e di
quelli destinati al sostegno all'apprendistato
dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Ma
il peggio del peggio è dato da quella disposizione, il comma secondo
dell'articolo 8 bis che vuole che con decreto del Ministro
dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto
con il Ministro
del lavoro e della previdenza sociale e con il Ministro dell’economia
e delle finanze,sia possibile avviare un programma sperimentale per
lo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti
degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado per il
triennio 2014- 2016. Il programma contempla la stipulazione di
contratti di apprendistato, con oneri a carico delle imprese
interessate e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
pubblica.
Il decreto
definisce la tipologia delle imprese che possono partecipare al
programma, i loro requisiti, il contenuto delle convenzioni che
devono essere concluse tra le istituzioni scolastiche e le imprese,
i diritti degli studenti coinvolti, il numero minimo delle ore di
didattica curriculare e i criteri per il riconoscimento dei crediti
formativi.
Sarà
contenta la Confindustria quando scrive sul suo sito che le
aziende non hanno bisogno di forme di addestramento standardizzato.
Chiedono che i giovani siano dotati di competenze linguistiche,
logico matematiche, storico sociali e al tempo stesso che siano
aiutati a scoprire la propria vocazione e a rafforzare la propria
personalità, anche attraverso forme di apprendimento attivo e di
conoscenza diretta del mondo del lavoro.
Saranno contenti quelli
della fondazione Agnelli quando scrivono che una popolazione più
istruita assicura al paese una produttività e una capacità di
innovazione più elevate, dalle quali può derivare un posizionamento
migliore nella concorrenza globale, e
saranno contenti tutti quelli che considerano dieci materie alla
media inferiore come un bene di lusso, e che si devono incentrare le
conoscenze o meglio le competenze su certe e date materie quali italiano,
inglese, matematica e scienze considerate beni di prima necessità
per il sistema produttivo capitalistico italiano e globale.
E ciò anticipa, in modo peggiorativo, quello che era stato previsto nel noto documento dei dieci saggi quando al punto 3.1 si affermava la necessità di realizzare l’alternanza scuola-lavoro, anche per gli universitari introducendo un apprendistato universitario sul modello tedesco o austriaco, due paesi in cui la disoccupazione giovanile è molto contenuta. Un decreto ministeriale dovrebbe autorizzare gli atenei a stringere degli accordi con le associazioni di categoria e i sindacati presenti sul territorio o direttamente con le imprese ivi presenti per istituire un corso di laurea triennale sotto forma di apprendistato. Lo studente lavoratore potrebbe acquisire metà dei crediti del corso in azienda e metà dei crediti in università: sarebbe formalmente impiegato presso l’impresa con un contratto di apprendistato della durata di tre anni, ma l’azienda non avrebbe alcun obbligo ad assumere il giovane alla fine del triennio.
D'altronde
quando in Italia si è introdotto l'apprendistato già a 15 anni e non
mi pare di aver notato sollevazioni di massa.
Andando
a leggere Isfol,
Modelli
di apprendistato in Europa: Francia, Germania, Paesi Bassi, Regno
Unito,
I Libri del FSE, 2012
da pag 240 emerge che in Francia,
Germania, Paesi Bassi e Regno Unito l' apprendistato è sinonimo di
percorso in alternanza; “in esso convivono una formazione erogata
all’esterno dell’impresa, generalmente presso istituzioni
scolastiche e/o centri di formazione, e una formazione erogata nel
contesto di lavoro, che si compone di “momenti” di formazione
formale, progettati e organizzati in vista del conseguimento di uno
specifico obiettivo formativo, e di “momenti” di apprendimento
non formale e informale ascrivibili ad una attività produttiva
qualificabile come “lavoro”.
Od
ancora che “due dei sistemi osservati presentano evidentemente una
configurazione di posizionamento integrato: si tratta, nello
specifico, dei sistemi francese e germanico. In entrambi i casi, il
sistema di apprendistato è una parte costitutiva e sostanziale del
più generale sistema di istruzione e formazione professionale, che
si colloca generalmente al livello secondario ma non solo; ovvero, al
completamento del periodo di istruzione obbligatoria, l’apprendistato
è una delle opzioni possibili, ed effettivamente agite da quote
anche importanti di giovani, tra i percorsi del ciclo secondario
(Germania). Nel caso francese l’integrazione dell’apprendistato
nel sistema educativo è talmente forte da generare una vera e
propria “via professionale” per l’acquisizione dei titoli di
studio”.
Insomma
ecco il modo in cui l'Italia si allinea all'Europa, meno istruzione
più apprendistato, meno conoscenza teorica ed umanistica più
competenza pratica per quella produttività voluta ed imposta dal
capitalismo.
La
scuola è in fase di trasformazione, vive una vera rivoluzione, ma quale reazione reale per
difendere la scuola pubblica e contrastare la scuola impresa?
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