Lo temevamo, ed alla
fine è successo.
La Corte
Costituzionale, pur di salvaguardare,per l'ennesima volta, le casse
dello Stato, si è pronunciata contro i diritti dei lavoratori o almeno una parte di lavoratori, salvaguardando invece quelli dei docenti di Religione.
D'altronde la vicenda sullo stipendio del personale Ata passato dagli
Enti Locali allo Stato nel corso del 2000 che non veniva rivalutato
sulla base della progressione economica del contratto statale, ha
insegnato tanto, poiché la Corte Costituzionale ha rigettato un
ricorso legittimo che riguardava migliaia di dipendenti pubblici,pur di
salvaguardare i bilanci dello Stato, ed addirittura in molti casi si
è registrata la ripetizione delle somme con ingiunzioni e prelievi
dalle buste paga.
Ora è il turno dei
precari della scuola.
La Sentenza 146/2013
riguarda un procedimento intrapreso per iniziativa della Corte di
Appello di Firenze,
in funzione di
giudice del lavoro, la quale ha sollevato questione di legittimità
costituzionale – in riferimento agli articoli 3, 36, 11 e 117 della
Costituzione, questi ultimi due parametri in relazione alla clausola
4 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo
determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE
del Consiglio – dell’art. 53, terzo comma, della legge 11 luglio
1980, n. 312 (Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale
civile e militare dello Stato), nella parte in cui «esclude il
personale della scuola
non di ruolo supplente (sia docente che non docente) dal diritto alla
maturazione degli aumenti economici biennali riconosciuti al
personale non di ruolo a tempo indeterminato», nonché «nella parte
in cui, con riferimento all’ultimo comma dello stesso articolo,
prevede un diverso trattamento tra docenti di religione e docenti di
materie diverse, anche nel caso in cui entrambi rendano, come
supplenti, una prestazione a tempo determinato».
La Corte d’appello, perciò,
evidenzia che, se l’espressione «escluse in ogni caso le
supplenze» venisse rimossa dal testo della norma impugnata, le
lavoratrici ricorrenti avrebbero diritto al riconoscimento degli
scatti di anzianità in discussione; e, d’altra parte, il testo di
legge è tale da non poter essere superato in via interpretativa,
come risulta anche dalla giurisprudenza della Corte di cassazione e
del Consiglio di Stato, i quali hanno negato che gli scatti biennali
possano spettare ai supplenti.
La
Corte Costituzionale specifica che la questione è stata posta dalla
Corte d’appello di Firenze non in termini generali – ossia con
riguardo alle differenze retributive esistenti tra i docenti ed il
personale amministrativo, tecnico e ausiliario (A.T.A.) con rapporto
di lavoro a tempo determinato ed il corrispondente personale di ruolo
– bensì con riferimento a due diverse situazioni che il rimettente
assume come tertia comparationis: da un lato i docenti non di ruolo a
tempo indeterminato e, dall’altro, i docenti di religione a tempo
determinato. L’ordinanza di rimessione, infatti, impugna
espressamente il solo terzo comma dell’art. 53 della legge n. 312
del 1980, in base al quale al personale non di ruolo con nomina del
provveditore agli studi, «escluse in ogni caso le supplenze», sono
attribuiti aumenti periodici di stipendio per ogni biennio di
servizio prestato.
Rimane pertanto estranea al presente giudizio ogni
questione relativa alla disparità di trattamento tra personale di
ruolo e non di ruolo, come risulta senza possibilità di dubbio dal
tenore complessivo dell’ordinanza di rimessione e dal fatto che la
medesima non ha proposto alcuna questione di legittimità
costituzionale relativa al primo comma del medesimo art. 53; sicché
l’oggetto del presente scrutinio di legittimità costituzionale
deve essere limitato all’ambito sopra delineato. Per
avere
un pronunciamento in merito alla disparità sussistente tra il
personale precario ordinario ed il personale di ruolo si dovrà
attendere la Corte di Giustizia Europea. Sinceramente non comprendo le
ragioni che hanno spinto la Corte di Appello di Firenze a non sollevare
anche una pronuncia sulla differenza e contestuale disciminazione
sussistente tra il personale precario ordinario e quello di ruolo in
tema di scatti di anzianità. La normativa comunitaria sul punto sembra
essere chiara, nessuna discriminazione, anche retributiva deve emergere.
Eppure tale quesito non è stato posto.
Deve essere detto che la
maggior parte dei Giudici italiani hanno sospeso i ricorsi perchè in
attesa del giudizio della Corte Costituzionale e non perchè in
attesa del pronunciamento della Corte di Giustizia europea. E' questione di sensibilità ed
anche fortuna. È così che funziona la giustizia italiana. E'
il caso di specificare che le Raccomandazioni della Comunità
europea, che non sono affatto vincolanti, ancorchè le stesse mirano
ad integrare il regolamento di procedura della Corte adottato a
Lussemburgo il 25 settembre 2012(GU L 265 del 29.9.2012,1-),
chiariscono che il ruolo della Corte è solo quello di fornire
l’interpretazione del diritto UE o di statuire sulla sua validità
e non di applicare tale diritto alla situazione di fatto sulla quale
verte il procedimento pendente innanzi al giudice nazionale. Il
giudice nazionale, dalla pronunzia resa dal giudice UE, sarà
chiamato a trarre tutte
le conseguenze concrete, disapplicando eventualmente la norma
nazionale che viene in considerazione-
p.8 Raccomandazioni.
Tradotto
in modo semplice, anche se vi sarà una sentenza positiva della Corte
di Giustizia europea, non è detto che la questione si risolverà positivamente, sarà invece determinante il ruolo della
politica e del Parlamento. Ma, come ben sappiamo, esistono
procedure d'infrazione intraprese contro l'Italia per la situazione
sussistente all'interno della Scuola, ma allo Stato, economicamente,
conviene pagare le sanzioni, che poi in realtà pagano i cittadini,
piuttosto che rispettare i diritti dei lavoratori.
Dunque,
la Corte Costituzionale, afferma che l’art. 2 della legge n. 186 del
2003, nell’istituire la dotazione organica dei posti per
l’insegnamento della religione cattolica, ha stabilito che essa
venga determinata «nella misura del 70 per cento dei posti
d’insegnamento complessivamente funzionanti»; il che significa che
la stabilizzazione del rapporto di lavoro di tali insegnanti è,
comunque, limitata da un punto di vista numerico, perché il
rimanente 30 per cento degli stessi continua a rimanere privo di
stabilità. Ne consegue che il richiamo compiuto dalla Corte
d’appello di Firenze alle profonde modifiche del rapporto di lavoro
dei docenti di religione – le quali farebbero venire meno ogni
ragionevole giustificazione della diversità di trattamento economico
– si scontra con il dato ora evidenziato, e cioè che la stabilità
del rapporto di lavoro non vale per l’intera categoria di docenti,
in quanto per una parte minore, ma pur sempre significativa, di
costoro la perdurante applicazione dell’art. 53, ultimo comma,
della legge n. 312 del 1980 costituisce l’unico temperamento
rispetto alla mancata stabilizzazione del rapporto di lavoro.
D’altra
parte è innegabile- continua la Corte- che, nonostante la riforma
di cui alla citata legge n. 186 del 2003, lo status degli insegnanti
di religione mantenga alcune sue indubbie peculiarità, quali la
permanente possibilità di risoluzione del contratto per revoca
dell’idoneità da parte dell’ordinario diocesano (art. 3, comma
9, della legge n. 186 del 2003) e l’assenza di un sistema
paragonabile a quello delle graduatorie permanenti – ora
graduatorie ad esaurimento – previste per altri docenti, le quali
consentono l’ingresso in ruolo in ragione del cinquanta per cento
dei posti disponibili (art. 399 del decreto legislativo 16 aprile
1994, n. 297 recante: «Approvazione del testo unico delle
disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative
alle scuole di ogni ordine e grado»). Inoltre questa Corte ha
sottolineato la peculiarità del rapporto di lavoro degli insegnanti
di religione (sentenza n. 343 del 1999) e ha ricordato che tale
categoria di docenti ha operato tradizionalmente con un rapporto di
servizio nel quale assume un ruolo centrale l’Intesa tra l’autorità
scolastica italiana e la Conferenza episcopale italiana (sentenza n.
297 del 2006). Infine per la Corte Costituzionale la diversità della
condizione dei suddetti docenti – la quale costituisce una naturale
conseguenza dell’intrinseca diversità del loro rapporto di lavoro
– rende, di conseguenza, priva di fondamento la prospettata
questione di legittimità costituzionale in riferimento anche
all’art. 36 Cost. nonché alla normativa europea richiamata
attraverso gli artt. 11 e 117 Cost., poiché il principio di non
discriminazione di cui alla clausola 4 dell’accordo quadro CES,
UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva
28 giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio, presuppone comunque la
comparabilità tra le due categorie di lavoratori a tempo determinato
e a tempo indeterminato.
E sulla base di ciò respingerà il ricorso.
Ad
oggi, la volontà politica, sostenuta dalla Giurisprudenza che conta,
è in via prevalente contraria ai diritti dei lavoratori della scuola. Che ciò sia
materia di riflessione. In questa società, dove regnerà sovrano il
principio costituzionale del pareggio di Bilancio, ogni diritto
sociale verrà sacrificato nel nome delle casse dello Stato, per
soddisfare quel debito pubblico di cui la quasi totalità degli
italiani non ha responsabilità contrattuale alcuna.
Oggi il diritto, per come interpretato, è lo specchio della civiltà giuridica esistente.
Uno specchio rotto, in frantumi.
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