Il tempo si è letteralmente fermato alla stazione di Miramare di Trieste

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Un gioiellino liberty di epoca asburgica, che consente di arrivare al castello di Miramare, attraversando il polmone verde di Trieste, che affascina il viaggiatore, perchè il tempo si è fermato in via Beirut, a  Grignano come in nessun altro luogo a Trieste.  Un gioiellino che è ora chiuso, ora aperto, ma che necessita di essere valorizzato, riqualificato. Purtroppo già in passato preso di mira da azioni di vandali, ragione per cui venne eliminato il glicine che caratterizzava la pensilina esterna, preso di mira con vandalismi che hanno comportato spese per migliaia di euro da parte di RFI per effettuare interventi di restauro di natura  conservativa. Quella piccola stazione affascina e non ha eguali in Italia, ed è auspicabile che si possano trovare le risorse, gli intenti, la volontà, per farla ritornare ai fasti di un tempo. Purtroppo il tempo fa il suo corso e dei lavori di manutenzione sono necessari per ripristinare quel bene storico che viene invidiato da chiunque si soffermi a

Scuola: La Corte Costituzionale dice no al pagamento degli scatti per il personale precario

Lo temevamo, ed alla fine è successo.
La Corte Costituzionale, pur di salvaguardare,per l'ennesima volta, le casse dello Stato, si è pronunciata contro i diritti dei lavoratori o almeno una parte di lavoratori, salvaguardando invece quelli dei docenti di Religione. D'altronde la vicenda sullo stipendio del personale Ata passato dagli Enti Locali allo Stato nel corso del 2000 che non veniva rivalutato sulla base della progressione economica del contratto statale, ha insegnato tanto, poiché la Corte Costituzionale ha rigettato un ricorso legittimo che riguardava migliaia di dipendenti pubblici,pur di salvaguardare i bilanci dello Stato, ed addirittura in molti casi si è registrata la ripetizione delle somme con ingiunzioni e prelievi dalle buste paga.
Ora è il turno dei precari della scuola.
La Sentenza 146/2013 riguarda un procedimento intrapreso per iniziativa della Corte di Appello di Firenze, in funzione di giudice del lavoro, la quale ha sollevato questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli articoli 3, 36, 11 e 117 della Costituzione, questi ultimi due parametri in relazione alla clausola 4 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio – dell’art. 53, terzo comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312 (Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato), nella parte in cui «esclude il personale della scuola non di ruolo supplente (sia docente che non docente) dal diritto alla maturazione degli aumenti economici biennali riconosciuti al personale non di ruolo a tempo indeterminato», nonché «nella parte in cui, con riferimento all’ultimo comma dello stesso articolo, prevede un diverso trattamento tra docenti di religione e docenti di materie diverse, anche nel caso in cui entrambi rendano, come supplenti, una prestazione a tempo determinato».
La Corte d’appello, perciò, evidenzia che, se l’espressione «escluse in ogni caso le supplenze» venisse rimossa dal testo della norma impugnata, le lavoratrici ricorrenti avrebbero diritto al riconoscimento degli scatti di anzianità in discussione; e, d’altra parte, il testo di legge è tale da non poter essere superato in via interpretativa, come risulta anche dalla giurisprudenza della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato, i quali hanno negato che gli scatti biennali possano spettare ai supplenti.
La Corte Costituzionale specifica che la questione è stata posta dalla Corte d’appello di Firenze non in termini generali – ossia con riguardo alle differenze retributive esistenti tra i docenti ed il personale amministrativo, tecnico e ausiliario (A.T.A.) con rapporto di lavoro a tempo determinato ed il corrispondente personale di ruolo – bensì con riferimento a due diverse situazioni che il rimettente assume come tertia comparationis: da un lato i docenti non di ruolo a tempo indeterminato e, dall’altro, i docenti di religione a tempo determinato. L’ordinanza di rimessione, infatti, impugna espressamente il solo terzo comma dell’art. 53 della legge n. 312 del 1980, in base al quale al personale non di ruolo con nomina del provveditore agli studi, «escluse in ogni caso le supplenze», sono attribuiti aumenti periodici di stipendio per ogni biennio di servizio prestato.

 Rimane pertanto estranea al presente giudizio ogni questione relativa alla disparità di trattamento tra personale di ruolo e non di ruolo, come risulta senza possibilità di dubbio dal tenore complessivo dell’ordinanza di rimessione e dal fatto che la medesima non ha proposto alcuna questione di legittimità costituzionale relativa al primo comma del medesimo art. 53; sicché l’oggetto del presente scrutinio di legittimità costituzionale deve essere limitato all’ambito sopra delineato. Per avere un pronunciamento in merito alla disparità sussistente tra il personale precario ordinario ed il personale di ruolo si dovrà attendere la Corte di Giustizia Europea.  Sinceramente non comprendo le ragioni che hanno spinto la Corte di Appello di Firenze a non sollevare anche una pronuncia sulla differenza e contestuale disciminazione sussistente tra il personale precario ordinario e quello di ruolo in tema di scatti di anzianità. La normativa comunitaria sul punto sembra essere chiara, nessuna discriminazione, anche retributiva deve emergere. Eppure tale quesito non è stato posto.
Deve essere detto  che la maggior parte dei Giudici italiani hanno sospeso i ricorsi perchè in attesa del giudizio della Corte Costituzionale e non perchè in attesa del pronunciamento della Corte di Giustizia europea. E' questione di sensibilità ed anche fortuna. È così che funziona la giustizia italiana. E' il caso di specificare che le Raccomandazioni della Comunità europea, che non sono affatto vincolanti, ancorchè le stesse mirano ad integrare il regolamento di procedura della Corte adottato a Lussemburgo il 25 settembre 2012(GU L 265 del 29.9.2012,1-), chiariscono che il ruolo della Corte è solo quello di fornire l’interpretazione del diritto UE o di statuire sulla sua validità e non di applicare tale diritto alla situazione di fatto sulla quale verte il procedimento pendente innanzi al giudice nazionale. Il giudice nazionale, dalla pronunzia resa dal giudice UE, sarà chiamato a trarre tutte le conseguenze concrete, disapplicando eventualmente la norma nazionale che viene in considerazione- p.8 Raccomandazioni.

Tradotto in modo semplice, anche se vi sarà una sentenza positiva della Corte di Giustizia europea, non è detto che la questione si risolverà positivamente, sarà invece determinante il ruolo della politica e del Parlamento. Ma, come ben sappiamo, esistono procedure d'infrazione intraprese contro l'Italia per la situazione sussistente all'interno della Scuola, ma allo Stato, economicamente, conviene pagare le sanzioni, che poi in realtà pagano i cittadini, piuttosto che rispettare i diritti dei lavoratori.
Dunque,  la Corte Costituzionale,  afferma che l’art. 2 della legge n. 186 del 2003, nell’istituire la dotazione organica dei posti per l’insegnamento della religione cattolica, ha stabilito che essa venga determinata «nella misura del 70 per cento dei posti d’insegnamento complessivamente funzionanti»; il che significa che la stabilizzazione del rapporto di lavoro di tali insegnanti è, comunque, limitata da un punto di vista numerico, perché il rimanente 30 per cento degli stessi continua a rimanere privo di stabilità. Ne consegue che il richiamo compiuto dalla Corte d’appello di Firenze alle profonde modifiche del rapporto di lavoro dei docenti di religione – le quali farebbero venire meno ogni ragionevole giustificazione della diversità di trattamento economico – si scontra con il dato ora evidenziato, e cioè che la stabilità del rapporto di lavoro non vale per l’intera categoria di docenti, in quanto per una parte minore, ma pur sempre significativa, di costoro la perdurante applicazione dell’art. 53, ultimo comma, della legge n. 312 del 1980 costituisce l’unico temperamento rispetto alla mancata stabilizzazione del rapporto di lavoro.
D’altra parte è innegabile- continua la Corte- che, nonostante la riforma di cui alla citata legge n. 186 del 2003, lo status degli insegnanti di religione mantenga alcune sue indubbie peculiarità, quali la permanente possibilità di risoluzione del contratto per revoca dell’idoneità da parte dell’ordinario diocesano (art. 3, comma 9, della legge n. 186 del 2003) e l’assenza di un sistema paragonabile a quello delle graduatorie permanenti – ora graduatorie ad esaurimento – previste per altri docenti, le quali consentono l’ingresso in ruolo in ragione del cinquanta per cento dei posti disponibili (art. 399 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 recante: «Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado»). Inoltre questa Corte ha sottolineato la peculiarità del rapporto di lavoro degli insegnanti di religione (sentenza n. 343 del 1999) e ha ricordato che tale categoria di docenti ha operato tradizionalmente con un rapporto di servizio nel quale assume un ruolo centrale l’Intesa tra l’autorità scolastica italiana e la Conferenza episcopale italiana (sentenza n. 297 del 2006). Infine per la Corte Costituzionale la diversità della condizione dei suddetti docenti – la quale costituisce una naturale conseguenza dell’intrinseca diversità del loro rapporto di lavoro – rende, di conseguenza, priva di fondamento la prospettata questione di legittimità costituzionale in riferimento anche all’art. 36 Cost. nonché alla normativa europea richiamata attraverso gli artt. 11 e 117 Cost., poiché il principio di non discriminazione di cui alla clausola 4 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio, presuppone comunque la comparabilità tra le due categorie di lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato.
E sulla base di ciò respingerà il ricorso.
Ad oggi, la volontà politica, sostenuta dalla Giurisprudenza che conta, è in via prevalente contraria ai diritti dei lavoratori della scuola. Che ciò sia materia di riflessione. In questa società, dove regnerà sovrano il principio costituzionale del pareggio di Bilancio, ogni diritto sociale verrà sacrificato nel nome delle casse dello Stato, per soddisfare quel debito pubblico di cui la quasi totalità degli italiani non ha responsabilità contrattuale alcuna.
Oggi il diritto, per come interpretato, è lo specchio della civiltà giuridica esistente.
Uno specchio rotto, in frantumi.

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