Dopo la Sentenza della Corte Costituzionale146/2013 con la
quale ha rigettato buona parte delle speranze dei precari della
scuola in tema di scatti di anzianità, arrivano ora due ordinanze
sulla questione stabilizzazione dei precari.
Con una
prima ordinanza la numero 206/ 2013
si affronta la questione di legittimità costituzionale dell’art.
4, comma 1, della legge n. 124 del 1999 e dell’art. 93, commi 1 e
2, della legge prov. Trento n. 5 del 2006 «nella parte in cui
consentono la copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento,
che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del
31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno
scolastico, mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa
dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di
personale docente di ruolo, così da determinare l’utilizzo di una
successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato per
il perseguimento, da parte dell’Amministrazione datrice, di uno
scopo (il contenimento della spesa pubblica) non riconducibile ad una
“finalità di politica sociale di uno Stato membro”, secondo
l’accezione desumibile dalla giurisprudenza della Corte di
giustizia».
L'iniziativa
è stata intrapresa dal Tribunale di Trento.
La Corte
Costituzionale affermerà che la generale
preclusione della possibilità di trasformare i contratti a tempo
determinato nel settore pubblico in contratti a tempo indeterminato è
stata specificamente ribadita per il settore scolastico con
l’inserimento – previsto dall’art. 1, comma 1, decreto-legge 25
settembre 2009, n. 134 (Disposizioni urgenti per garantire la
continuità del servizio scolastico ed educativo per l’anno
2009-2010), convertito con modifiche dall’art. 1, comma 1, della
legge 24 novembre 2009, n. 167 – del comma 14-bis nell’art. 4
della legge n. 124 del 1999, secondo il quale i contratti a tempo
determinato stipulati per il conferimento delle supplenze di cui ai
commi 1, 2 e 3 del medesimo articolo «possono trasformarsi in
rapporti di lavoro a tempo indeterminato solo nel caso di immissione
in ruolo».
Preciserà che il successivo art. 9, comma 18, del
decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime
disposizioni urgenti per l’economia), convertito in legge, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 luglio 2011, n.
106 – disposizione della quale fa menzione anche il giudice a quo –
nell’aggiungere il comma 4-bis all’art. 10 del d.lgs. n. 368 del
2001, ha previsto che sono esclusi dall’applicazione di quel
decreto «i contratti a tempo determinato stipulati per il
conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA,
considerata la necessità di garantire la costante erogazione del
servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea
del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo
indeterminato ed anche determinato»; che
la norma ora richiamata ha altresì stabilito che non trova
applicazione, al personale scolastico, l’art. 5, comma 4-bis, del
medesimo decreto n. 368 del 2001, che è la disposizione in base alla
quale, in caso di reiterazione di contratti a termine, fra lo stesso
datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per un tempo
complessivamente superiore ai trentasei mesi, comprensivi di proroghe
e rinnovi, il contratto si considera a tempo indeterminato; che,
pertanto, aver sottoposto all’esame di questa Corte le sole
disposizioni prima richiamate comporta un’incompletezza
della ricostruzione del quadro normativo
ed una conseguente inefficacia dell’ipotetica pronuncia di
accoglimento ai fini della decisione della domanda giudiziale
concretamente posta al Tribunale di Trento, e dichiara
la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità
costituzionale.
Ma con l'ordinanza successiva, la numero207/2013, i
cui quesiti saranno promossi dal Tribunale di Roma e Lamezia Terme
(Cz) nel 2012, anche se nella sostanza simili a quelli del Tribunale
di Trento, manifesterà un dubbio.
Su circa otto pagine di ordinanza( n° 207/13) ben
quattro sono ricche di argomentazioni che ben lasciano intendere
come la Corte Costituzionale fosse orientata negativamente verso i
diritti dei lavoratori in tema di stabilizzazione, e l'ordinanza
precedente, la numero 206/13 conferma questa tesi, ben quattro pagine
che forse serviranno alla Corte di Giustizia Europea, magari con i
giusti condizionamenti politici, a blindare quel pronunciamento che
la Corte Costituzionale ora non ha osato realizzare, ma sui cui è
andata abbastanza vicino.
Prima di entrare nel merito delle argomentazioni,
cerchiamo di capire il perché di questa strategia.
La Corte di Giustizia Europea, si è già
pronunciata più volte sulle questioni che riguardano gli abusi del
contratto a tempo determinato, violazioni dei termini, inesistenza
dei termini, delle ragioni obiettive e così via discorrendo, ponendo
dei paletti ben chiari e precisi, salvo un caso in cui è possibile
derogare ai principi dettati dalla nota clausola articolo 5 punto 1
della direttiva 1999/70/CE e l’accordo quadro ad essa allegato
ovvero quando l’esigenza temporanea di personale sostitutivo,
prevista da una normativa nazionale, può, in linea di principio,
costituire una ragione obiettiva ai sensi di detta clausola (sentenza
26 gennaio 2012, in causa C-586/10, Kucuk, punti 30-31).
Ed ecco che la Corte Costituzionale ben motiva le
esigenze obiettive che vorrebbero rispettata questa clausola , con
quattro pagine di argomentazioni, e ben ricordando che l’art. 36,
comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme
generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche), dispone che, in ogni caso, «la
violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o
l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni,
non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo
indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma
restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato
ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di
lavoro in violazione di disposizioni imperative». Tale norma è
stata ritenuta dalla Corte Costituzionale rispettosa degli artt. 3
e 97 Cost. (sentenza n. 89 del 2003); e la Corte di giustizia ha
affermato che la medesima non è in contrasto con la clausola 5
dell’accordo-quadro sul lavoro a tempo determinato, quando siano
previste, «nel settore interessato, altre misure effettive per
evitare, ed eventualmente sanzionare, il ricorso abusivo a contratti
a tempo determinato stipulati in successione» (ordinanza 1° ottobre
2010, in causa C-3/10, Affatato, punto 51).
Cosa potrebbe accadere se la Corte di Giustizia
Europea dovesse affermare che la normativa comunitaria osta ad una
normativa come quella italiana in tema di precariato nella scuola?
Stabilizzazioni di massa per i precari ricorrenti,
stabilizzazioni d'ufficio per i non ricorrenti in via di autotutela
da parte dell'amministrazione che hanno superato i famigerati 36
mesi, in caso contrario partiranno nuovi ricorsi e nuovi danni
erariali per lo Stato ma conseguentemente a ciò arriverà una chiara
riforma del sistema delle graduatorie che in sostanza comporterebbe
un limite temporale per i contratti a tempo determinato detto in
breve, non si potrà lavorare nella scuola per un periodo superiore
ai 36 mesi,salvo una sola proroga, superato questo periodo o si verrà stabilizzati oppure
per quale ragione lo Stato dovrebbe perseverare in una condicio di
illecito civile? Paradossi del sistema.
La soluzione più prevedibile potrebbe essere la
seguente: la Comunità Europea ha già avviato procedure d'infrazione
avverso l'Italia proprio per la situazione del precariato nella
scuola, ma nulla è mutato. Con le giuste influenze politiche,
specialmente in tempo di austerità, la Corte di Giustizia Europea
potrebbe, ricollegandosi alle eccezioni già espresse in passato,
legittimare il quadro normativo italiano esistente nel settore della
scuola, salvaguardando così da un lato le casse dello Stato, nessuna
stabilizzazione di massa troverò luogo, salvo l'accontentino con
qualche assunzione, ma cosa da poco rispetto ai numeri reali del
precariato, e dall'altro soddisferà la Corte Costituzionale che,
come ben ha già anticipato nella sua ordinanza,sia la 206 che la
2017 del 2013, blinderà il suo responso negativo e per anni si
porrà la parola fine all'enorme contenzioso in tema di precariato
nella scuola.
Fantascienza giuridica?
No, un pensiero critico e doveroso dal punto di
vista etico.
Ritornando all'Ordinanza di cui si discute, la Corte
Costituzionale ha rilevato che «La potestà legislativa è
esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della
Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali»; e che pertanto un
sospettato contrasto tra legge nazionale e norma comunitaria si
traduce in una questione di legittimità costituzionale rispetto ai
parametri dell’art. 11 e dell’art. 117, primo comma, Cost.,
integrati e resi operativi dalla norma comunitaria pertinente.
Secondo i Tribunali di Roma e di Lamezia Terme, la normativa
italiana in tema di contratti a tempo determinato nella scuola, non
sarebbe compatibile con il diritto dell’Unione europea, in quanto
l’accordo quadro CES, UNICE e CEEP del 28 giugno 1999 sul lavoro a
tempo determinato stabilisce che gli Stati membri sono tenuti ad
introdurre nelle rispettive legislazioni nazionali norme idonee a
prevenire e a sanzionare l’abuso costituito dalla successione nel
tempo di tali tipi di contratto; che la legislazione italiana, per il
settore scolastico, non contiene né una durata massima dei contratti
di lavoro a tempo determinato, né l’indicazione del numero massimo
di rinnovi possibili. La Corte Costituzionale tra le varie cose
ricorda anche che per il personale della scuola, l’art. 10, comma
4-bis, del d.lgs. n. 368 del 2001, di attuazione della direttiva che
qui interessa, esclude che le disposizioni del decreto, che prevedono
per il pubblico impiego il risarcimento del danno in caso di abusiva
reiterazione dei contratti a termine, si applichino in relazione ai
contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle
supplenze del personale scolastico docente e ATA (amministrativo,
tecnico ed ausiliario), dato che la necessità di procedere, per le
supplenze nell’ambito del settore scolastico, alla stipula di
contratti a tempo determinato, anche ripetuti nel tempo, risponde ad
esigenze peculiari ed insopprimibili di quel settore;che, di
conseguenza, pur avendo la Corte di giustizia già pronunciato varie
sentenze sull’argomento, appare necessario chiedere alla medesima
Corte in via pregiudiziale l’interpretazione della clausola 5,
punto 1, della direttiva n. 1999/70/CE, in rapporto alla questione
sottoposta a questa Corte per il giudizio di legittimità
costituzionale, poiché sussiste un dubbio circa la puntuale
interpretazione di tale disposizione comunitaria e la conseguente
compatibilità della normativa nazionale sin qui illustrata.
In cosa consiste il dubbio della Corte
Costituzionale?
Se la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro
CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla
direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE debba essere
interpretata nel senso che osta all’applicazione dell’art. 4,
commi 1, ultima proposizione, e 11, della legge 3 maggio 1999, n. 124
(Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico) – i
quali, dopo aver disciplinato il conferimento di supplenze annuali su
posti «che risultino
effettivamente vacanti e disponibili entro
la data del 31 dicembre», dispongono che si provvede mediante il
conferimento di supplenze annuali, «in attesa dell’espletamento
delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente
di ruolo» – disposizione la quale consente che si faccia ricorso a
contratti a tempo determinato senza indicare tempi certi per
l’espletamento dei concorsi e in una condizione che non prevede il
diritto al risarcimento del danno; se costituiscano ragioni
obiettive, ai sensi della clausola 5, punto 1, della direttiva 28
giugno 1999, n. 1999/70/CE, le esigenze di organizzazione del sistema
scolastico italiano come sopra delineato, tali da rendere compatibile
con il diritto dell’Unione europea una normativa come quella
italiana che per l’assunzione del personale scolastico a tempo
determinato non prevede il diritto al risarcimento del danno.
Non si parla dunque nello specifico del superamento
del periodo massimo consentito quali i 36 mesi, non si parla del
fatto che nel nostro ordinamento non sussiste, per quanto concerne i
contratti a tempo determinato nel settore pubblico, una sanzione
specifica che possa disincentivare l'amministrazione pubblica a
ricorrere in modo abusivo a tale forma di contratto, ma si attiene a
questioni di principio generale.
Marco Barone
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