Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Per i 50 anni della strage del Vajont che la diga sia monumento nazionale



Vajont 9 ottobre 1963 , 487 sono i bambini con meno di 15 anni morti non per incuria ma per colpa. Questo è quello che leggerai nell'area della diga, non della tragedia, non dell'incidente, non del dramma o della fatalità, ma della strage del Vajont. Poi una lunga fila di nomi, bambini mai nati, uccisi, per la violenza che l'uomo ha esercitato verso la natura per il solito becero profitto. Non hai la forza di piangere, la rabbia è talmente forte, dura, che muta ogni lacrima in silenzio, il silenzio nell'urlo, urlo che l'eco delle montagne incateneranno ogni oltre oblio nell'ululato del dolore.
2018 persone travolte dalla furia della natura. Una furia che si è accanita verso l'innocenza di un popolo senza scalfire i veri responsabili di quella strage. Vennero distrutti i borghi di Frasègn, Le Spesse, Il Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana, San Martino, Faè e la parte bassa dell'abitato di Erto, Longarone Pirago, Maè, Villanova, Rivalta. Furono danneggiati gli abitati di Codissago, Castellavazzo, Fortogna, Dogna e Provagna, Soverzene, Ponte nelle Alpi, la borgata di Caorera e di Borgo Piave. Vedrai l'imponenza della diga, sorprenderti e sconvolgerti, cemento, e ruggine, strade e cavità e ciò che rimane della frana. Leggerai Enel di m..., scritto con una bomboletta color bianco, e vedrai sui cancelli che condurranno a quel mostro immobile, il cartello dell'Enel, oggi proprietaria delle strutture e dei terreni. L'Enel il 10 ottobre del 1963 scriveva “ la diga è rimasta intatta il che prova l'eccellenza del manufatto e il largo margine di sicurezza adottato. La enorme massa rocciosa franata ( …) testimonia che il disastro rientra fra quegli eventi naturali a carattere catastrofico , assolutamente imprevedibili” Sul sito del Comune di Longarone si ricorda che la “Cassazione, pur nella mitezza delle pene inflitte agli imputati, accoglieva sul piano dei principi, l’accusa: si dichiarava la prevedibilità dell’evento, per cui frana e inondazione costituivano un disastro colposo”.
Nel febbraio 2008, nel corso della presentazione dell' International Year ofPlanet Earth il disastro del Vajont fu ricordato come un caso esemplare di "disastro evitabile" causato dalla scarsa comprensione delle scienze della terra e dal «fallimento di ingegneri e geologi nel comprendere la natura del problema che stavano cercando di affrontare» La frana monte Toc del novembre 1960 è stato un segnale, vi furono anche proteste e scioperi per denunciare la pericolosità dell'opera, ma la storia ha ben insegnato come è finita, ha prevalso il senso del profitto e la devastazione della natura che si è abbattuta poi su intere comunità spazzate via nell'arco di attimi che mai dovranno essere dimenticati. Eppure sembra che qualcuno vuole rimettere in funzione quel mostro. Qualcuno vuole sentir ruggire la violenza dell'essere disumano contro madre natura? Atto, a parer mio, di gravità inaudita. Si insulta la memoria, si insulta la storia, si insultano quelle persone uccise e ripeto uccise dal potere della società.
Si avvicinano i 50 anni della strage. Non voglio con questo scritto “scavalcare” i parenti delle vittime, però mi sento di lanciare la seguente proposta. Lo Stato italiano deve procedere all'espropriazione per causa di pubblica utilità della Diga per dichiararla Monumento nazionale.
Un Monumento che ben rappresenti la violenza dell'essere umano drogato dal profitto e dal potere esercitata sulla natura che, ahimè, ha scatenato l'ira funesta nata da tal dolore sul popolo inerme e che possa fermare, una volta per sempre, ogni tentativo finalizzato a ripristinare l'uso di quel mostro di cemento che tanta sofferenza , ancora viva e che mai patirà, continua ad imprimere nella mente e nel cuore di ogni persona non indifferente.
487 bambini con meno di 15 anni morti non per incuria, ma per colpa.
Contro l'indifferenza che la Diga sia Monumento nazionale.

alcune foto scattate nel mese di luglio 2013

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