Questa nuova
sentenza della Corte di Giustizia Europa, del 4 luglio 2013, causa C 312/11, è applicabile, dunque, al caso idonei ad altri
compiti nella scuola, e certamente comporterà degli effetti anche
sul contratto integrativo del 2008, lì dove prevede l'aumento
dell'orario di lavoro per tale personale, oltre che ovviamente la
piena illegittimità della disposizione della spending review che è
in fase di abrogazione in parlamento. A questo punto il parlamento
non ha più alibi, deve abrogare quella norma ingiusta, illegittima e
discriminatoria nei confronti dei docenti che per motivi di patologie
varie rientrano nel regime di inidoneità e conseguentemente
rischiano il trasferimento coatto alla mansione di Ata, con la
relativa dequalificazione ed aumento del carico di lavoro.
Con
il suo ricorso la Commissione europea ha chiesto alla Corte di
dichiarare che la Repubblica italiana, non imponendo a tutti i datori
di lavoro di prevedere soluzioni ragionevoli applicabili a tutti i
disabili, è venuta meno al suo obbligo di recepire correttamente e
completamente l’articolo 5 della direttiva 2000/78/CE del
Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale
per la parità di trattamento in materia di occupazione e di
condizioni di lavoro (GU L303, pag.16). L’articolo1 della direttiva
2000/78 è del seguente tenore: «La presente direttiva mira a
stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni
fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap,
l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione
e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati
membri il principio della parità di trattamento».
L’articolo
5 della direttiva in parola recita:
«Per
garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei
disabili, sono previste soluzioni ragionevoli. Ciò significa che il
datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione
delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili
di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o
perché possano ricevere una formazione, a meno che tali
provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere
finanziario sproporzionato. Tale soluzione non è sproporzionata
allorché l’onere è compensato in modo sufficiente da misure
esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei
disabili».
A
parere della Commissione nella legislazione italiana non esiste
alcuna disposizione che recepisca l’obbligo generale previsto
dall’articolo 5 della direttiva 2000/78. Pur ammettendo che le
disposizioni della legge n. 68/1999, sotto taluni profili, offrono
garanzie ed agevolazioni persino superiori a quelle prescritte
dall’articolo 5 della direttiva 2000/78, la Commissione osserva
tuttavia che tali garanzie ed agevolazioni non concernono tutti i
disabili, non gravano su tutti i datori di lavoro e non riguardano
neppure tutti i diversi aspetti del rapporto di lavoro. La
Commissione rileva anzitutto che la legge n. 68/1999 si applica solo
ad alcune tipologie di disabili ivi identificate.
Per
quanto riguarda la censura della Commissione secondo cui la
legislazione italiana si applicherebbe solo a taluni disabili,
occorre rammentare che, se è vero che la nozione di «handicap» non
è definita nella stessa direttiva 2000/78, la Corte ha tuttavia già
dichiarato, ai punti 38 e 39 della sentenza dell’11 aprile 2013, HK
Danmark (C 335/11 e C 337/11, non ancora pubblicata nella Raccolta),
che, alla luce della Convenzione dell’ONU, tale nozione deve essere
intesa nel senso che si riferisce ad una limitazione risultante in
particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature che,
in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la
piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita
professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori.
Di
conseguenza, l’espressione «disabile» utilizzata nell’articolo
5 della direttiva 2000/78 deve essere interpretata come comprendente
tutte le persone affette da una disabilità corrispondente alla
definizione enunciata nel punto precedente.
Dunque
una interpretazione estensiva che si scontra con quella prevista nel
nostro ordinamento e dove ben possono rientrare i docenti idonei ad
altri compiti!
Ne
consegue che, contrariamente agli argomenti della Repubblica italiana
esposti al punto 55 della presente sentenza, per trasporre
correttamente e completamente l’articolo 5 della direttiva 2000/78
non è sufficiente disporre misure pubbliche di incentivo e di
sostegno, ma è compito degli Stati membri imporre a tutti i datori
di lavoro l’obbligo di adottare provvedimenti efficaci e pratici,
in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, a favore di
tutti i disabili, che riguardino i diversi aspetti dell’occupazione
e delle condizioni di lavoro e che consentano a tali persone di
accedere ad un lavoro, di svolgerlo, di avere una promozione o di
ricevere una formazione.
La
Corte ha analizzato le varie Leggi italiane sul punto ed è stata
molto critica.
Legge
104/92:
Orbene,
nel caso di specie occorre osservare che la legge n.104/1992 prevede
che l’inserimento lavorativo e l’integrazione sociale dei
disabili siano realizzati tramite misure che consentano di favorire
il loro pieno inserimento nel mondo del lavoro, in forma individuale
o associata, nonché la tutela del loro impiego. Essa comporta
disposizioni relative all’integrazione scolastica e alla formazione
professionale e prevede in particolare aiuti a carico delle regioni.
D’altra parte, la legge n. 104/1992 attribuisce alle regioni
la competenza a regolamentare le agevolazioni ai singoli disabili per
recarsi al posto di lavoro e per l’avvio e lo svolgimento di
attività lavorative autonome, nonché gli incentivi, le agevolazioni
e i contribuiti accordati ai datori di lavoro, anche al fine di
adattare il posto di lavoro. Da tale legge quadro non risulta che
essa garantisce che tutti i datori di lavoro siano tenuti ad adottare
provvedimenti efficaci e pratici, in funzione delle esigenze delle
situazioni concrete, a favore dei disabili, come esige l’articolo 5
della direttiva 2000/78.
Legge
381/1991:
Quanto
alla legge n.381/1991, essa contiene norme relative alle cooperative
sociali, i cui dipendenti, ai sensi di tale legge, devono essere
almeno per il 30% persone svantaggiate. La suddetta legge, destinata
all’inserimento lavorativo dei disabili attraverso tali strutture,
non contiene neanch’essa disposizioni che impongano a tutti i
datori di lavoro l’obbligo di adottare provvedimenti appropriati,
in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, ai sensi
dell’articolo 5 della direttiva 2000/78.
Legge 68/99:
Per
quanto riguarda la legge n.68/1999, essa ha lo scopo esclusivo di
favorire l’accesso all’impiego di taluni disabili e non è volta
a disciplinare quanto richiesto dall’articolo 5 della direttiva
2000/78.
Legge
81/2008:
Per
quanto riguarda il decreto legislativo n.81/2008, occorre rilevare
che esso disciplina solo un aspetto dei provvedimenti appropriati
richiesti dall’articolo 5 della direttiva 2000/78, cioè
l’adeguamento delle mansioni alla disabilità dell’interessato.
Emerge
da quanto precede che la legislazione italiana, anche se valutata nel
suo complesso, non impone all’insieme dei datori di lavoro
l’obbligo di adottare, ove ve ne sia necessità, provvedimenti
efficaci e pratici, in funzione delle esigenze delle situazioni
concrete, a favore di tutti i disabili, che riguardino i diversi
aspetti dell’occupazione e delle condizioni di lavoro, al fine di
consentire a tali persone di accedere ad un lavoro, di svolgerlo, di
avere una promozione o di ricevere una formazione. Pertanto, essa non
assicura una trasposizione corretta e completa dell’articolo 5
della direttiva 2000/78.
Di
conseguenza, occorre La Corte di Giustizia Europea ha dichiarato
che la Repubblica italiana, non avendo imposto a tutti i datori di
lavoro di prevedere, in funzione delle esigenze delle situazioni
concrete, soluzioni ragionevoli applicabili a tutti i disabili, è
venuta meno al suo obbligo di recepire correttamente e completamente
l’articolo 5 della direttiva 2000/78.
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