La celebrazione del fascismo della passeggiata di Ronchi di D'Annunzio e l'occupazione di Fiume

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Mio caro compagno, Il dado è tratto. Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto febbricitante. Ma non è possibile differire. Ancora una volta lo spirito domerà la carne miserabile. Riassumete l'articolo !! che pubblicherà la Gazzetta del Popolo e date intera la fine . E sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio Non sarà stato forse un fascista dichiarato, D'Annunzio, certo è che non fu mai antifascista, era lui che aspirava a diventare il duce d'Italia e la prima cosa che fece, all'atto della partenza da Ronchi per andare ad occupare Fiume, fu quella di scrivere a Mussolini, per ottenere il suo sostegno. Perchè D'Annunzio ne aveva bisogno. Il fascismo fu grato a D'Annunzio, per il suo operato,  tanto che si adoperò anche per il restauro e la sistemazione della casa dove nacque D'Annunzio e morì la madre. E alla notizia della morte, avvenuta il 1 marzo del 193

Pronti a tutto? Nazionalizziamo le grandi imprese



Finalmente in questi giorni si parla di lavoro, dei problemi del lavoro, dei problemi del precariato, dei problemi delle speculazioni industriali, dei soliti problemi che affossano l'Italia.
Problemi che possono avere due soluzioni, o adottare un processo riformista, l'ennesimo, all'interno di un sistema fallimentare, o semplicemente andare oltre il capitalismo.
Chiamatela rivoluzione, catastrofe sociale, chiamatela come volete, ma le alternative sono queste.
Dunque o allungare l'agonia per la morte certa, o edificare un nuovo sistema sociale partendo con gli strumenti già esistenti.
Il caso Ilva, il caso Alcoa, giusto per citare i più recenti, ma si potrebbe parlare del caso Fiat, del caso Ferriera di Trieste, del cementificio di Vibo, del polo industriale di Gela e così via dicendo, rappresentano il fallimento, non demagogico, ma reale, di una politica clientelare, di una politica che ha regalato soldi pubblici, dei cittadini, nostri, per arricchire i soliti imprenditori e manager, a discapito della salute collettiva ed individuale a discapito di ogni tutela immaginabile per il sistema sociale italiano.
La domanda sorge spontanea, ovvero, per quale motivo continuare ad offrire soldi al privato?
Quando l'azienda non è in grado di intervenire nei processi di ristrutturazione aziendale necessari per ammodernare gli impianti, per rimanere sul mercato, lo Stato italiano anziché continuare ad elargire soldi pubblici ai privati, ammortizzando la fine del lavoro che verrà per migliaia di lavoratori e favorendo il profitto dei pochi notabili imprenditori che si giovano di questo sistema, dovrebbe semplicemente espropriare l'azienda e gestirla direttamente, da buon datore di lavoro secondo i canoni di uno stato sociale degno di questo nome.
La costituzione italiana questa ipotesi la potrebbe prevedere, infatti, se incrociamo questi articoli della Costituzione:


Art. 1
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

Articolo 3 comma 2
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 4
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto
Art. 32.
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Art. 35.
La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
Art. 41.
L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

Ebbene, partendo proprio dall'articolo 41, il coordinamento che deve essere realizzato ai fini sociali, è quello volto a garantire l'affermazione dei principi fondamentali della costituzione, prevalenti rispetto alla libertà di mera iniziativa economica privata.
Insomma basterebbe applicare la Costituzione italiana per nazionalizzare le imprese che continuano ad elemosinare soldi pubblici con il ricatto che i lavoratori perderanno il lavoro, per non parlare dei problemi dell'indotto e delle città.
Lo Stato deve rilevare l'Ilva, l'Alcoa, la Fiat, la Ferriera, e tutte quelle grandi aziende che non sono in grado di garantire il diritto al lavoro ed il diritto alla salute dei lavoratori, deve ammodernarle, prevedere forme di ammortizzatori sociali ad hoc nell'iter necessario che comporterà la sospensione temporanea del ciclo produttivo, necessaria per la realizzazione dei lavori considerati, ed il profitto che ne conseguirà andrà a diretto beneficio delle casse dello Stato che certamente soddisfaranno anche il pareggio di bilancio ed il diritto dei lavoratori al lavoro, dei cittadini alla salute, della collettività al benessere sociale.
Ciò è difficile che accada con questo governo, o con un governo gestito dal PD o Pdl, ciò può accadrà solo se i lavoratori lo vorranno, con la lotta senza condizione di resa, e con la voglia di ritornare ad essere protagonisti attivi della vita sociale dell'Italia e di quella sovranità popolare di cui tutti noi siamo stati, consapevolmente ahimè, spogliati.

Basta elemosinare, basta chiedere soldi pubblici a favore dei privati, nazionalizziamo le imprese, non esistono alternative.
Se poi si decide di vole continuare a sopravvivere, libera scelta, ma con la consapevolezza che ciò altro non è che aver rimandato solo la propria inevitabile fine.

Concludo con un mio recente motto da Trieste a Lampedusa per l'anticapitalismo che non si USA.









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