In
data 20 luglio da più parti è giunto un coro univoco, un coro che
esaltava la grande vittoria dei movimenti, poiché la Corte
costituzionale farebbe saltare la privatizzazione dell'acqua e dei
servizi pubblici locali.
Un
sentimento di euforia che ben comprendo, essendo anche io uno di
quelli che ha sostenuto e sostiene il carattere pubblico e di bene
comune dell'acqua, però dobbiamo necessariamente ritornare con i
piedi per terra.
Già,
perché se la sentenza 199 e 200 del 2012 riconosce che il
vincolo referendario è stato infranto con l'articolo 4 del
d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.
148 del 2011 dichiarando la palese violazione dell'articolo
75 della Costituzione, in realtà non si ribadisce il carattere né
pubblico né comune dell'acqua, anzi questa sentenza suggerisce al
legislatore come fare per intervenire in materia.
Diciamo
che è una sentenza dal doppio effetto.
Il primo
dal grande impatto mediatico e di riconoscimento apparente della
democrazia diretta, riconoscendo il valore del referendum e
riconoscendo il diritto all'illusione dei cittadini, dall'altro lato
suggerisce, appunto, ai governanti come fare per privatizzare i beni
comuni, quindi, l'acqua.
Non è una
mia follia interpretativa.
E' tutto
scritto nero su bianco, e mi sorprende che questa disposizione sia
sfuggita ai più.
Come
prima cosa nella sentenza n° 199 si richiama testualmente una
vecchia sentenza della Corte la quale afferma che: «la normativa
successivamente emanata dal legislatore è pur sempre soggetta
all’ordinario sindacato di legittimità costituzionale, e quindi
permane comunque la possibilità di un controllo di questa Corte in
ordine all’osservanza – da parte del legislatore stesso – dei
limiti relativi al dedotto divieto di formale o sostanziale
ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare»
(sentenza n. 9 del 1997)
Però
afferma che il legislatore ordinario, «pur dopo l’accoglimento
della proposta referendaria, conserva il potere di intervenire
nella materia oggetto di referendum senza limiti particolari che non
siano quelli connessi al divieto di far rivivere la normativa
abrogata» (sentenza n. 33 del 1993; vedi anche sentenza n. 32
del 1993).
Ma
specialmente che Né può ritenersi che sussistano le
condizioni tali da giustificare il superamento del predetto divieto
di ripristino, tenuto conto del brevissimo lasso di tempo intercorso
fra la pubblicazione dell’esito della consultazione referendaria e
l’adozione della nuova normativa (23 giorni), ora oggetto di
giudizio, nel quale peraltro non si è verificato nessun mutamento
idoneo a legittimare la reintroduzione della disciplina abrogata.
Cosa vuol dire
ciò?
Significa, questa
esplicazione della Corte, che si deve avere pazienza. Una pazienza
che deve riconoscere la finzione del diritto della democrazia diretta
e partecipata. Superato il periodo della pazienza necessaria, si
potrà intervenire, giustificando, per esempio la privatizzazione del
bene comune, mai riconosciuto come tale dalla Corte Costituzionale,
quale l'acqua pubblica come appunto bene comune, per ragioni che al
momento del referendum non sussistevano ma che ora sussistono.
Penso al pareggio
di bilancio, penso all'articolo 81 della costituzione, penso al
rispetto della cassa dello Stato, penso allo spread, penso alla
crisi, tutte condizioni tecnicamente e giuridicamente idonee a
scavalcare la volontà referendaria ed a legittimare la
reintroduzione della disciplina abrogata.
Quindi, basta
un mutamento idoneo a legittimare la reintroduzione della disciplina
abrogata ed un lasso di tempo sufficiente dall'esito del referendum,
per rendere pieno il potere dell'oligarchia esistente, tutelando nel
breve termine l'apparenza della democrazia diretta e nel lungo
termine quello del sistema.
Ma i sistemi non
governano per il breve termine, governano per e nel lungo termine, e
son certo che l'acqua sarà destinata ad essere privatizzata, almeno
a livello normativo, perché la Corte costituzionale non ha blindato
la non privatizzazione dell'acqua, ma specialmente ha indicato
espressamente come fare per superare la volontà referendaria.
Questo è il
quanto.
Quindi, attenzione
massima, la partita non è finita.
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