Il concorso per presidi
continua a fare discutere.
Dopo i ricorsi al Tar
rigettati, è seguita anche la produzione di un vero e proprio
esposto alla Procura della Repubblica.
Ma probabilmente ciò che
dovrebbe comportare l'annullamento delle prove, a parer mio, non sarà
nessun atto di impugnazione giuridica, ma sostanziale.
Quello che si è appreso
dal giornale locale, il Piccolo, è a dir poco vergognoso.
Sì, vergognoso.
Parto da una prima
considerazione.
Il Piccolo, nello spazio
riservato alle notizie regionali del 22 giugno 2012,
rende noto che uno dei ricorrenti,
non ammesso agli orali, sosteneva che
I care era il motto
inventato da Don Milani, secondo il presidente della Commissione
giudicante, che è avvocato distrettuale dello Stato per il Friuli
Venezia Giulia, “I Care è il motto inventato da Obama ed in Italia
adottato da Veltroni e che è un errore attribuirlo a Don Milani che
si esprimeva in toscano ed in latino, non certo in inglese”
Internet è una risorsa,
ma anche i libri lo sono.
Dico ciò perché se il
presidente della Commissione dice di non fidarsi di quanto emerge in
internet, a proposito della paternità di quella frase, avrebbe fatto
cosa buona e giusta a cercare la fonte con i metodi tradizionali.
Per esempio nel libro
L'obbedienza non è più una virtù, -libreria editrice
fiorentina- documenti del processo di Don Milani, stampato a Firenze
, a pagina 34, nella Lettera ai giudici di don Milani, scritta a
Barbiana, nel lontano 24 ottobre 1965 , testualmente si legge:
Come ognuno deve sentirsi
responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c’è
scritto grande “I care“. È il motto
intraducibile dei giovani americani migliori. “Me ne importa, mi
sta a cuore” il contrario esatto del motto fascista “Me ne
frego”.
Prima di Obama e prima di
Veltroni dunque.
Se questa è la
preparazione di chi ha giudicato i futuri presidi, o deciso chi
doveva superare il detto concorso o meno che dire?
Ma vi è di peggio,
ahimè.
Il Piccolo, sempre
nell'articolo del 22 giugno 2012, rende noto che nel testo della
relazione per la difesa erariale, a fronte dei ricorsi prodotti al
Tar da alcuni partecipanti al concorso, ricorso che verrà rigettato,
che il Presidente della Commissione testualmente scrive “ tanto
meno era compito nostro riempire i posti costasse quel che costasse
perché non arrivassero i barbari”. Il Presidente della commissione
si giustificherà dicendo “quanto ai barbari ho adottato quel
termine collegandomi idealmente allo sprezzante tono del parlamentare
leghista, ho voluto enfatizzare l'assurda piega che ha avuto questa
vicenda. Ovvio che la parola barbari applicata ad insegnanti o
persone non del luogo non mi appartiene. Non equivochiamo.
E certo, non
equivochiamo.
E' grave, gravissimo, una
nefandezza degna di ogni ignoranza di Stato, riportare in atto
ufficiale ed istituzionale una simile considerazione.
Non esistono
giustificazioni e comprensioni.
Nulla.
Ed allora se è questo lo
spirito e l'animus che ha determinato la correzione dei compiti, si
deve procedere come minimo all'annullamento del concorso per
dirigenti scolastici nel Friuli Venezia Giulia, ed avviare
immediatamente una ispezione ministeriale, per valutare l'operato dei
soggetti ivi coinvolti.
Io ho sempre reputato
questa terra, mi riferisco al Friuli Venezia Giulia, una terra
accogliente, ove l'integrazione è possibile. Leggere simili barbarie
che non possono che non essere ricondotte nel pozzo meschino del
razzismo, non può che recare rabbia e sofferenza umana.
Concludo con l'incipit di una Lettera a
una professoressa, un pensiero ribelle fatto proprio da tanti
ragazzi, fatto proprio in quella scuola che ha rifiutato il
classismo, che ha rifiutato la scuola della gerarchia, che ha
rifiutato la scuola della concorrenza, e forse proprio per questo
motivo si tende a negare la paternità di I care a Don Milani, perchè
la scuola che oggi vogliono i governanti di questo Paese è una
scuola che va letteralmente e sostanzialmente contro i precetti
voluti anche da Don Milani.
Cara signora, lei di
me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti.
Io invece
ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione
che chiamate scuola, ai ragazzi che “respingete”. Ci respingete
nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate.
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