Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

A volte la vita è come un film

A volte la vita è come un film.
Un film ove non comprendi quando sei il regista, l'attore o semplice comparsa.
Un film ove ti sfugge ogni regia, colore o suono, semplicemente un film.
Ma in questo film accade di conoscere persone, persone che si spogliano di quella maschera quotidiana che la burocrazia ti offre o impone, persone senza maschera, persone umane.
Ho conosciuto l'umanità.
Quel senso di umanità, una carezza di fratellanza laica e pura, che permette all'individuo di sentirsi regista e non semplice attore o mera comparsa di quel film che viviamo a volte senza consapevolezza a volte semplicemente perché lo si deve vivere.
E' una società asociale quella che circonda i nostri pensieri e sentimenti.
Cerco la verità, perché mi ribello alla falsità.
Cerco la giustizia sociale, perché mi ribello all'ingiustizia di un sistema che opprime ogni risposta al perché.
Eppure esistono dei perché che non possono divenire perché.
Eppure esistono delle risposte che non possono essere conferite.
Quello che appare non è.
La conquista della libertà di essere uomini o donne che vogliono semplicemente vivere un mondo privo di catene, privo di meschinità, privo di poteri e sotto-poteri, privo di autoritarismi, privo di strategie destabilizzanti quell'equilibrio che mai equilibrio reale è stato, ma solo equilibrio concesso nel paciere di quel piacere deciso in qualche stanza cupa e fredda di terre ogni oltre convenzione razionale, deve passare da quella via stretta ed in salita dell'inquietudine della consapevolezza.
A volte è meglio vivere l'ignoranza di Stato. A volte è meglio vivere semplicemente l'ordinarietà ordinaria ed ordinata come imposta dal sistema impostore.
Sofferenze, lacrime, timori, sentimenti confusi nell'urlo del sapere, comportano tentazioni che potrebbero rendere futili quelle azioni come ora tastierizzate, come ora internetizzate, come ora prigioniere di quella rete che da per avere.
Ma non avranno mai quell'utopia della voglia di essere liberi.
Non avranno mai la voglia di non essere adattati.
L'adattamento al normale e normalizzato avvenire degli eventi è la peggior eresia che mai possa trovare rapace affermazione.
E dunque scrivo e lotto, lotto e mi ribello, perché io sono il regista della nostra vita, sono l'attore della nostra vita, sono la comparsa nella nostra vita.
Siamo noi i registi del nostro destino, consapevoli, nonostante tutto,  è meglio.

Marco Barone

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