Quello che ora scriverò, è una riflessione, che non vuole essere
a sostegno dei più o dei meno, ma semplicemente evidenziare un dato
di fatto.
In Italia esistono tantissimi avvocati.
La maggior parte,mi riferisco ai giovani, sono precari, anzi di
più.
Esiste una concorrenza difficile da reggere specialmente se non
sei "figlio di papà", se non hai ereditato uno studio
professionale, se non hai un capitale di fondo a disposizione.
Perché quella del settore dell'avvocatura è un mercato.
Un mercato in crisi, dove i giovani sono praticamente tagliati
fuori.
E le ipotesi di riforma della professione non aiutano certamente
chi non ha reddito o chi si rifiuta di difendere i soliti noti.
Per esempio si discute del fatto che una delle condizioni per
rimanere iscritti all'Albo e si paga ogni anno una tassa, sarebbe la
produzione di numero x di cause, ma anche avere un determinato
reddito fatturato.
In sostanza se queste disposizioni troveranno applicazione, molti
giovani avvocati, verranno buttati fuori dall'Albo.
Diventare avvocati è difficile.
Effettui un periodo di formazione/lavoro di due anni, ad oggi non
retribuito, devi superare l'esame, che dura in sostanza un anno.
Uno degli esami più difficili, probabilmente il più difficile
dopo quello per Magistratura .
Certo, si potrebbe obiettare, è una libera professione, quindi,
si maturano i rischi del caso.
Giusto.
Ma devono a parer mio cadere molti miti.
Il più rilevante è che l'avvocato ha soldi, o che l'avvocato è
benestante.
Nulla di più falso per i giovani avvocati che non hanno le spalle
coperte.
E sono tanti.
Molti penseranno che l'avvocato potrebbe per esempio insegnare
diritto.
Ti laurei in giurisprudenza, svolgi un tirocinio, superi l'esame
ed eserciti la professione.
Quindi, in teoria, l'avvocato sarebbe conoscitore del diritto.
Quindi, si avrebbero tutti i titoli per insegnare diritto nella
Scuola Pubblica Statale italiana.
Invece non è così.
La classe di riferimento, per insegnare diritto nelle scuole
superiori di secondo grado è la 19/A.
Ma la normativa attuale, sia per i vecchi laureati, che per i
nuovi, richiede esami aggiuntivi rispetto a quelli previsti nel
programma originario di studio, quali economia politica, statistica
politica economica ed economia aziendale. Anche il nuovo regolamento
del TFA, sulla linea delle vecchie SISS, non muta tale orientamento.
Quindi, anche se si è avvocati, non si può insegnare diritto a
scuola e neanche partecipare ai TFA.
L'interessato/a dovrebbe iscriversi nuovamente all'università.
Spendere altri soldi, e sperare in qualche chiamata dalle
graduatorie.
Ma anche qui il problema è dato dal fatto che ora si dovranno
aspettare le graduatorie del 2014.
Ed allora una proposta, visto che si parla di concorso,
finalmente, per entrare a pieno titolo nella scuola, perché non
prevedere la possibilità per coloro che sono giovani avvocati, e
senza lavoro o con lavoro ultra-precario, di partecipare al concorso pubblico, per conseguire l'abilitazione per
insegnare diritto ?
Ovviamente con la condizione che l'insegnamento deve comportare la
preclusione od una limitazione dell'esercizio della libera
professione. Ma l'acquisizione dell'abilitazione all'esercizio della
professione forense, se non la stessa laurea in giurisprudenza a
parer mio, deve conferire la possibilità di partecipare al concorso,
senza sostenere nuovi esami universitari o corsi similari. E nello
stesso tempo perchè non fermare i TFA che seguono la triste e speculativa vicenda elle SISS, che oltre che comportare grandi business,
“produrranno” una nuova cerchia di precari, visto che saranno a
numero chiuso ma anche enormi illusioni? TFA di cui ancora mancano molti
decreti attuativi per esempio per definire le modalità di
reclutamento dei docenti con compiti tutoriali previsti dall’art.
11 del dm 249/10, la distribuzione regionale dei posti da bandire,
le date delle prove selettive di accesso ai percorsi ecc?
Discutiamone.
Marco Barone
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