Accade che costeggi con i tuoi
pensieri, quel tratto di strada che divide il sistema produttivo
Finmeccanica dalla città che vive buona parte della sua economia
proprio grazie a tale sistema economico, Monfalcone.
E ti chiedi cosa mai accadrà quando
Finmeccanica deciderà che a Monfalcone non si può più produrre
perché il costo del lavoro, della burocrazia è tale che conviene
recarsi altrove.
Monfalcone certamente rischierà di
patire grandi ed immense sofferenze, così come i lavoratori e tutte
quelle persone che vivono di cantieristica navale.
Però poi ci sono gli interessi forti, la politica, la casta, le corporazioni, le banche locali, le assicurazioni locali, tutto l'indotto locale che in qualche modo condizionerà la scelta.
Una scelta inevitabile se le cose continuano a rimanere così.
Ma una inevitabilità che si scontra con quelle necessità che determinano il potere di uno stato nello Stato.
Come fare allora per competere in un sistema privo di regole o meglio da un lato con troppe regole e troppi diritti, dall'altro senza regole e senza diritti.
Come fare per salvare il potere dello stato nello Stato?
Ed allora pensi alla globalizzazione.
L'OCSE
definisce la globalizzazione come “un processo attraverso
il quale mercati e produzione nei diversi paesi diventano sempre più
interdipendenti, in virtù dello scambio di beni e servizi e del
movimento di capitale e tecnologia”.
E ti chiedi, ma perché non si parla
più di globalizzazione? Perché si è rispolverato, giustamente, un
termine dato per morto quale il capitalismo?
Certamente molti diranno che la
globalizzazione è una variante del capitalismo.
Ma in verità è anche un qualcosa di
più.
Un qualcosa che deve essere ora
dimenticato, non si deve parlare di no global, ma di indignati, non
si deve parlare di multinazionali ma di capitalismo.
Ed allora sorge spontanea una
riflessione che vuole essere anche una provocazione.
Una provocazione che ribalterebbe lo
stato presente, a cui ci stanno abituando, della crisi economica.
Come ben sappiamo la Cina è in
crescita paurosa.
Quante volte si è sentito dire che con
il sistema cinese non si può competere?
Come competere con un Paese che non
rispetta i diritti dei lavoratori, diritti umani, con un Paese che
produce ora non solo merce a gran quantità ma anche di gran qualità?
Sì è vero, questa crisi, conosciuta
come crisi determinata dal sistema delle banche e della finanza e
delle relative speculazioni, anche se non si è mai capito chi si è
veramente arricchito in ciò,perché quando i titoli vendono svenduti
qualcuno li comprerà, chi? non è dato sapere, la Cina ha avuto
qualche difficoltà.
Ma la banca
centrale cinese si è limitata ad
abbassare i tassi di
interesse portandoli l’8
di ottobre al 6,93%; è stato ridotto
il controllo sui prestiti delle banche,
rendendo il credito più flessibile ma non sembra ad essere messo a
rischio lo scopo primario del governo quale quello di mantenere
la crescita vicino al 10% annuo .
Ma il sistema
economico cinese, con la sua non regolamentazione del diritto del
lavoro, è tale, che ora lentamente allenta la propria dipendenza
anche dalle economie occidentali.
Per esempio gli
aerei militari cinesi sono realizzati all’interno del paese ed a
partire dal 2016 la Cina realizzerà propri aerei da trasporto,
stesso discorso per il settore automobilistico sempre in maggiore
affermazione anche a livello qualitativo e di sicurezza.
Quando Draghi, il
neo-presidente della BCE, dice che comprende le ragioni degli
indignati, cosa vuole veramente sostenere?
Cosa non dice?
L'interrogativo
che mi sorge è il seguente: visto e rilevato che è impossibile
competere con il sistema economico cinese, visto che non si possono
modificare le regole vigenti in Cina ed imporre sanzioni, rilevato
che gli USA sono i principali debitori della Cina, perché non
adattarsi al modello cinese?
Se non puoi
modificare le loro non regole, dovrai adattarti alle non regole.
Come?
Stroncando quelle
regole che hanno per secoli determinato la storia del diritto del
lavoro nell'Occidente, uccidendo il sistema sociale, uccidendo
contratti e contrattazioni nel nome di una esasperata
liberalizzazione volta a garantire un sistema elevato e disumano di
competizione economica con il Paese Cina.
Quale miglior
scusante se non quella di una crisi del sistema economico
occidentale? Proprio quello che non riesce a competere con la Cina?
Ed allora nasce
una crisi, guidata e manipolata, si incute terrore, si crea il
precedente, vedi la Grecia, si sostiene la teoria del rischio
fallimento dello Stato, si pretende il pagamento immediato del debito
pubblico, tollerato per anni ed anni senza che nessuno dica il perché
deve essere saldato ora, e si convincono le persone, il popolo a
cedere la propria sovranità, a cedere i propri diritti per saldare
un debito che in verità non potrà mai essere saldato.
E ciò non lo
sostengo io, che non sono economista, ma tanti economisti.
Raggiungere il
pareggio di bilancio non vuol dire aver risolto il problema debito
pubblico.
Anche perché
vorrei vedere come farebbero a persuadere milioni di persone al
sacrificio.
Un sacrificio
necessario per garantire il profitto del sistema economico padronale.
Nessuno sarebbe
disposto a pagare tasse, ad assistere con totale indifferenza e
rassegnazione alle liberalizzazioni totali dei servizi pubblici, alla
fine del diritto del lavoro, alla riduzione degli stipendi, alla fine
della contrattazione, alla riscrittura del diritto storto del lavoro,
che diverrà sempre più simile a quello vigente in Cina, solo perchè
lo richiede il sistema delle competizioni dell'economia reale e
globale di mercato.
Chi lo farebbe
mai per venir incontro alla globalizzazione? Alle richieste del
mercato e della competizione?
Se invece tale
richieste vengono sollevate nel nome della difesa dello Stato, beh il
discorso cambia.
Ahimè se cambia.
E così è.
E' più semplice
edificare il tutto con la scusante della crisi della finanza
speculativa, che specula, appunto, in nome e per conto della
globalizzazione, che ora non può neanche esser pronunciata.
Globalizzazione?
E chi la conosce?
Esiste?
Ripeto, la mia è
solo una provocazione, una riflessione nata da alcuni
interrogativi...
Perché pagare
con tale fretta un debito pubblico tollerato per anni?
Perché insistere
in misure, liberalizzazioni, privatizzazioni,distruzione della
contrattazione collettiva ed integrativa, de-regolamentazione del
diritto del lavoro, che mai riusciranno a saldare tale debito
pubblico?
Perché non si
parla più di globalizzazione?
Questa crisi non
mi convince, ed in ogni caso, anche se ciò che appare fosse reale e
vero, il popolo non deve essere espropriato dell'unico bene
immateriale di cui si deve rivendicare la tutela assoluta, quale la
sovranità popolare.
Ed allora questa
crisi è una maschera che cela altro o è semplicemente la fine,
cantata ed attesa da sempre, del capitalismo?
Termine rinato in
tal 2011 che ricorderemo tutti come l'anno del che fare?
Ribellarsi è
giusto.
Marco Barone
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