Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

QUANDO OSPIZI E CASE DI CURA DIVENTANO LAGER

Il caso della clinica degli orrori di Cosenza si trasforma in una puntata di CSI e quello di Ascoli Piceno in un film dell’orrore. Ospizi e case di cura lager, tra sporcizia maltrattamenti e misteriose scomparse.

Si è da poco celebrato il sessantacinquesimo anniversario della shoa e già oggi ritornano davanti ai nostri occhi crude immagini di un moderno lager. Non più famelici volti di uomini e donne ridotti a larve umane, ma disabili e anziani ridotti in schiavitù e abbandonati a loro stessi tra sporcizia e indifferenza.

Nello stesso giorno due squadre di carabinieri si apprestano ad indagare sugli ennesimi casi di case di cura lager. Entrambi già noti alle forze dell’ordine e alla giustizia tornano a calcare la scena ancora una volta e con scoperte sempre più macabre.

Nelle Marche, ad Ascoli Piceno, i carabinieri, infatti, avevano già fatto visita nel 2000 all’ospizio “Casa di Giobbe”, un nome degno delle pene a cui venivano sottoposti gli ospiti, e già nella precedente inchiesta la casa di cura era stata chiusa per maltrattamenti e il proprietario diffidato a proseguire l’attività.

Dopo dieci anni da quel blitz i carabinieri si sono trovati di fronte uno spettacolo raccapricciante, donne e uomini tra i 70 e i 90 anni rinchiusi in stanze sovraffollate adagiati sui letti bagnati dalle proprie urine e tutto intorno sporco di feci.

Una struttura sanitaria, che doveva ospitare ed assistere anziani e disabili, trasformata in un moderno lager da uomini senza scrupoli.

Ancor più orrendo, in Calabria, il caso di Cosenza. La clinica Giovanni XXIII ritorna sulle prime pagine dei giornali riportandoci alla mente quelle immagini che un anno fa hanno fatto il giro di tutti i tg, tra sporcizia, maltrattamenti, fame e scandali economici ora la clinica degli orrori fa di nuovo parlare di sé.

Un anno fa, nell’ultima inchiesta che aveva coinvolto la casa di cura, erano state scoperte una sessantina di tombe senza nome in uso alla casa di riposo, tombe nelle quali probabilmente sono stati sepolti per sempre i segreti della clinica degli orrori.

I carabinieri ne avevano aperte due dove avevano trovato quattro feretri in ogni loculo, anziché due, ma senza nessun nome o data.
Un mistero irrisolto, seppellimenti mai dichiarati e scomparse quanto mai misteriose quelle avvenute nella clinica in 18 anni.

Una squadra dei Ris si è recata nel cimitero di Serra d’ Aiello (Cosenza), questo il nome del paese dove ha sede l’ istituto Papa Giovanni XXIII, la casa di cura degli orrori, per riesumare tutti i cadaveri e cercare attraverso l’esame del DNA di dare un nome a tutti quei corpi straziati in vita e anche nella morte.

Nel piccolo cimitero si allestirà una sorta di ospedale da campo dove i Ris e i medici legali esamineranno ogni cadavere disseppellito per cercare di capire le cause di queste morti e per dare finalmente un nome ai defunti e magari una tomba su cui i parenti possano da ultimo piangere i loro cari, e siamo sicuri che piangeranno, non tanto per i loro cari quanto per la loro incuria.

In questi giorni si cominceranno a riesumare i cadaveri e c’è da scommettere che il piccolo paese e il suo cimitero si trasformeranno in un set cinematografico degno della più avvincente puntata di CSI, con tutti gli occhi dei telespettatori e dei giornalisti puntati sopra, e chissà cosa scopriranno di nuovo!

Speriamo che qualcuno paghi per tanta crudeltà.

Anche “Chi l’ha visto”, su Rai tre, si era occupato della scomparsa di due “ospiti” della clinica misteriosamente scomparsi.
Ai parenti che chiedevano spiegazioni era stato risposto che erano andati via con le loro gambe, una beffa, perché i due le gambe non potevano usarle perché paralitici, infatti le tracce dei due pazienti non andavano oltre il giardino della clinica.

Due casi diversi quello di Cosenza e quello di Ascoli, ma simili, entrambi uniti dall’aver trasformato delle strutture che dovevano ospitare e accudire disabili e anziani, di cui i familiari non potevano occuparsi, in due moderni lager.

Ma ciò che viene spontaneo domandarsi è come mai certi casi siano venuti alla luce solo dopo tanto tempo. Ci si chiede come abbiano fatto i parenti che andavano a trovare i loro cari a non fare caso all’indecenza in cui questi vivevano. O forse non andavano mai a far visita a quei poveri derelitti abbandonati a se stessi.

E pensare che una volta gli anziani erano considerati saggi e per questo erano amati e rispettati da tutta la società, oggi invece sono solo un peso.

Irene Galati

- Uno Notizie Italia - Roma -

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