La celebrazione del fascismo della passeggiata di Ronchi di D'Annunzio e l'occupazione di Fiume

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Mio caro compagno, Il dado è tratto. Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto febbricitante. Ma non è possibile differire. Ancora una volta lo spirito domerà la carne miserabile. Riassumete l'articolo !! che pubblicherà la Gazzetta del Popolo e date intera la fine . E sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio Non sarà stato forse un fascista dichiarato, D'Annunzio, certo è che non fu mai antifascista, era lui che aspirava a diventare il duce d'Italia e la prima cosa che fece, all'atto della partenza da Ronchi per andare ad occupare Fiume, fu quella di scrivere a Mussolini, per ottenere il suo sostegno. Perchè D'Annunzio ne aveva bisogno. Il fascismo fu grato a D'Annunzio, per il suo operato,  tanto che si adoperò anche per il restauro e la sistemazione della casa dove nacque D'Annunzio e morì la madre. E alla notizia della morte, avvenuta il 1 marzo del 193

Terranova da Sibari: quattro arresti per riduzione in schiavitù

Tre cittadini di Terranova da Sibari (Cs) e un romeno sono stati arrestati dai carabinieri per riduzione in schiavitù di otto lavoratori romeni.
Le persone arrestate sono Camillo Emilio Molino, 45enne, il fratello Enzo Franco Molino, 43enne, e Gaetano Caracciolo, 35enne, tutti e tre e noti alle forze dell’ordine perché pluripregiudicati. C on precedenti penali anche il cittadino romeno Dinita Aurelian Daniel, 20enne.
Le otto vittime, che ora sono state accompagnate in una località protetta, hanno raccontato ai carabinieri di Terranova di essere partiti alla volta dell’Italia con la promessa di essere assunti come braccianti agricoli.
Ma varcato il confine italiano gli è stato chiesto di consegnare i passaporti e gli altri documenti per le pratiche di assunzione. Fiduciosi, gli uomini, sei 25enni e due 40enni, hanno consegnato il tutto. Portati a Terranova da Sibari sono stati affidati a un connazionale, che ha fatto da interprete, e ai tre italiani.
Gli otto sfortunati romeni sono stati sistemati in un stanzino fatiscente, umido, senza acqua calda, con pochi sudici letti; sono stati obbligati a non allontanarsi, a non parlare in italiano. Il giorno dopo sono stati portati sul posto di lavori, e “utilizzati” per le demolizioni. Con un turno di lavoro che andava dalle 8 alle 18, interrotto da una breve pausa pranzo per il quale gli viene concesso solo un po’ di pane, la maggior parte delle volte raffermo o ammuffito. Ed era quel pezzo di pane l’unica “paga” che riceveranno, per loro non c’è altro. Passa circa una settimana, le minacce si fanno sempre più eloquenti, minacce di morte.
Gli otto uomini riescono a uscire da questa macabra situazione solo quando uno di loro si ricorda di avere un conoscente in Italia, in provincia di Potenza. Il romeno racconta telefonicamente al conoscente delle loro condizioni di vita e di lavoro, dello stabile dove dormono e la località dove si trovano.
Il connazionale si reca subito dai carabinieri che allertano i colleghi della stazione di Terranova da Sibari e della compagnia di San Marco Argentano. Individuato lo stabile, i carabinieri fanno irruzione e trovano le condizioni disumane descritte dalla fonte. Scattano immediate le perquisizioni. E nelle abitazioni dei tre italiani descritti dagli otto schiavi vengono trovati i passaporti ed i documenti di sette degli otto romeni. Dei quattro arresti, infatti, viene informato il sostituto procuratore di turno della Procura della Repubblica di Castrovillari, Larissa Catella, che ne ha disposto la traduzione in carcere.
da il quotidianodellacalabria.it

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