La celebrazione del fascismo della passeggiata di Ronchi di D'Annunzio e l'occupazione di Fiume

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Mio caro compagno, Il dado è tratto. Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto febbricitante. Ma non è possibile differire. Ancora una volta lo spirito domerà la carne miserabile. Riassumete l'articolo !! che pubblicherà la Gazzetta del Popolo e date intera la fine . E sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio Non sarà stato forse un fascista dichiarato, D'Annunzio, certo è che non fu mai antifascista, era lui che aspirava a diventare il duce d'Italia e la prima cosa che fece, all'atto della partenza da Ronchi per andare ad occupare Fiume, fu quella di scrivere a Mussolini, per ottenere il suo sostegno. Perchè D'Annunzio ne aveva bisogno. Il fascismo fu grato a D'Annunzio, per il suo operato,  tanto che si adoperò anche per il restauro e la sistemazione della casa dove nacque D'Annunzio e morì la madre. E alla notizia della morte, avvenuta il 1 marzo del 193

Dal G20 di Pittsburgh: tutto come prima

da http://www.infoaut.org/articolo/dal-g20-di-pittsburgh-tutto-come-prima/

Il G20 di Pittsburgh, in onda questi giorni, si presenta volutamente con toni meno drammatici rispetto a quello di Londra dello scorso aprile. Ciò è dovuto al doppio registro del suo contenuto politico. Da un lato, rilanciare al mondo l'annuncio della Federal Reserve che "la recessione è finita". Dall'altro, accantonare nei fatti gli impegni per una regolazione un minimo più stringente dei mercati finanziari, ovvero mantenerli a voce senza però produrre quegli accordi vincolanti di cui si era parlato quando la crisi era al culmine. Traduzione mediatica: cauto ma rassicurante ottimismo e (solo) promesse di regolazione della finanza perché il rischio catastrofe non si ripeta di nuovo. Anche il battage, più retorico che effettivo, sui bonus dei manager sarà riposto nel cassetto.

Per le banche e le istituzioni finanziarie - quelle sopravvissute con un livello di concentrazione molto più alto di prima - è l'assicurazione che la regola "troppo grandi per fallire" verrà comunque rispettata dai governi e insieme la conferma che il privilegio di far pagare alla collettività le conseguenze del rischio privato risulta oramai istituzionalizzato. Per i governi la possibilità di presentare al mondo uno scenario meno drammatico incrociando le dita sulla prospettiva dell'economia globale.

Tutto come prima allora? Non proprio. Lasciamo qui da parte la questione cruciale se la crisi è realmente al capolinea e quali condizioni lascia. C'è comunque un piccolo particolare: il meltdown finanziario è stato finora evitato solo perché governi e banche centrali, a partire dalla Federal Reserve statunitense, hanno inondato i mercati di liquidità, con tassi di interesse zero ed emissioni di moneta, addossando le perdite private sui bilanci pubblici. Le cifre sono clamorose e si trovano su tutti i giornali economici. E nonostante ciò resta che i bilanci delle banche e degli altri istituti finanziari non sono affatto risanati, essendo i tanto declamati profitti degli ultimi mesi e i rallies di borsa dovuti esclusivamente all'uso speculativo di fondi presi a costo zero dalle banche centrali. Nel frattempo sono ripartite con la benedizione del Fmi le cartolarizzazioni cioè quel meccanismo di creazione di debito su debito scaturigine immediata della crisi globale. Inoltre, l'enorme massa di dollari riversata sui mercati rappresenta una bomba ad orologeria per il suo potenziale inflattivo non appena dovesse far capolino una ripresa effettiva, mentre l'inevitabile caduta del dollaro avrebbe effetti scardinanti sui circuiti di credito-debito globali, in primis quello Cina-Stati Uniti con le riserve cinesi che ne uscirebbero automaticamente svalutate. Altro che exit strategy dagli squilibri globali! L'idea di Obama di rilanciare il ruolo leader degli Stati Uniti guidando il riconfigurarsi dell'economia mondiale non ha gambe forti su cui marciare, senza considerare che finora la sua politica di gestione della crisi non ha fatto che confermare in tutto il modello precedente. Pechino, l'unico soggetto che avrebbe forse la forza per produrre una revisione effettiva degli assetti economici globali, ha un'economia legata a doppia mandata ai mercati statunitensi e per ora privilegia una strategia graduale di inserimento negli organismi internazionali combinata con il canale del G2 informale che oramai ha istituito con Washington. Anche se non potrà essere sempre così.

Si potrebbe continuare. Il punto è che nessuno dei problemi economici di fondo è stato non diciamo risolto ma anche solo affrontato. Il modello di sviluppo basato sulla finanziarizzazione della vita, pur in crisi, non esce ridimensionato quanto a centralità e tanto meno rimpiazzato da un ritorno all'antico. Nessun new deal, che riformando il sistema insieme lo salvi, è all'orizzonte. E in più, di qui in avanti, i defaults coinvolgeranno direttamente gli stati. Che cosa queste prime lezioni della crisi globale - tutt'altro che archiviata - ci dicono per una prospettiva di ripresa dell'antagonismo sociale è il terreno d'indagine da sondare perché anche su questo versante non si ritornerà al come prima.

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